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Storia : Moderna : Testimonianze: Marò Giulio Ronchi
Inviato da Barbarigo il 22/11/2004 14:41:27 (1575 letture)

Storia : Moderna
Testimonianza del Marò Giulio Ronchi, Compagnia Mitraglieri, Battaglione Barbarigo, Decima MAS.


Raccolta il 20 ottobre 2004 via telefono da Andrea Lombardi, Genova; testimonianza modificata dall’intervistatore.

“Quando la notte del 20 gennaio siamo arrivati sul San Gabriele c’erano 20° sotto zero e una bora maledetta.
Noi Mitraglieri e i Mortaisti, chissà perché, eravamo davanti, mentre dovevano essere i Fucilieri ad appostarsi davanti a noi.
Mentre prendevamo posizione scoprimmo un gran numero di trincee, erano quelle della guerra 1915-1918, e anche adesso sono tali e quali.
La mia Squadra era appostata sul lato est del San Gabriele: alle nostre spalle c’era Gorizia.
A nostra insaputa, proprio dal versante opposto, mentre noi finivamo di sistemarci e scoprivamo reperti della Grande Guerra, stavano salendo verso la vetta centinaia di uomini del IX Korpus, che intendevano prendere il San Gabriele, accerchiare le nostre forze ed arrivare in vista di Gorizia.
Nonostante fossero ormai a poche decine di metri di distanza, noi vedevamo soltanto il bianco della neve e il nero della notte, sino a quando Brunetti, un Marò di Genova, si alzò per andare a urinare e dopo aver fatto qualche passo tornò però indietro precipitosamente, dicendoci: “Belin, ci sono delle ombre lì davanti, c’è qualcuno dei nostri?”. Noi ci guardammo perplessi e gli dicemmo “Tu sei matto!”, ma subito dopo sentimmo delle voci parlare in tedesco nel silenzio della notte. Evidentemente anche chi avevamo davanti nell’oscurità ci aveva sentiti, e tentava di fregarci! Per fortuna c’era Tommasini, un friulano che sapeva sloveno e tedesco, e rapidamente ci disse che sentiva anche parlare sloveno; pochi attimi dopo sentimmo distintamente “Na prej!”, ossia “Avanti!” in sloveno, e allora saltammo su e dicemmo “Cacchio! Sono slavi!” e immediatamente, senza ordini, abituati dallo stile da Compagnia di Ventura della Decima a reagire autonomamente, aprimmo il fuoco con la Breda, seguiti subito dalle altre mitragliatrici, puntando le armi verso le voci di quel nemico che non scorgevamo. Poi qualcuno di noi tirò un razzo illuminante e ormai ad appena una decina di metri vedemmo quella che ci sembrava una marea di nemici agitarsi sulla neve, e con la mitragliatrice li mollammo là, anche con l’aiuto dei Mortaisti della IV Compagnia che anche loro, senza attendere disposizioni, avevano aperto un fuoco di sbarramento davanti alle nostre posizioni.
La nostre mitragliatrici avevano falciato gli slavi.
Sparammo tutta la notte, la mattina dopo rimanemmo turbati nel vedere i nemici morti davanti alle nostre posizioni.
Per uno che va a pisciare abbiamo salvato la baracca, sennò ci avrebbero sommersi.
Siamo noi del Barbarigo che abbiamo salvato il Fulmine. Questa è stata l’ultima battaglia del IX Korpus prima di ritirarsi, e quella che gli impedì di infiltrarsi nel Goriziano.
Il ricordo che ho più vivido è il freddo che ci faceva ghiacciare il nostro fiato sul passamontagna, formando minuscoli ghiaccioli che rimuovevamo con le mani.
Noi eravamo dei ragazzi di 17-18 anni, me lo chiedo ancora adesso come abbiamo fatto a resistere in quelle condizioni.
Era un attaccamento fraterno, quasi un amore, che ci teneva uniti in quei frangenti.
C’era un attaccamento, non abbiamo mai lasciato indietro nemmeno uno dei nostri morti, anche nella ritirata, perché ti sembrava di perderli del tutto a lasciarli andare”.
“Poi ci hanno dato il cambio ma noi Mitraglieri eravamo sempre a dare supporto ai Fucilieri, mi sono trovato con il Valanga e con il Serenissima, con il Plotone di Cateni. Mi comandarono anche al recupero dei caduti del Fulmine, mi è toccato vedere dove erano sepolti, dietro il Cimitero, con 20-30 cm di terra. Recuperati i morti li portammo a Gorizia.”
“La Squadra Mitraglieri era formata dal Capoarma, dai Mitraglieri e da 10 Fucilieri che portavano le cassette, che quando l’arma era piazzata si disponevano intorno e dietro ad essa, ben dispersi. La Breda 37 era un’arma da posizione, precisissima. Sul Senio alcuni di noi presero le MG-42 tedesche, dall’altissima cadenza di tiro, io che ero minuto nel fisico no, ma Cateni, che era più robusto, sparava anche dal fia

 

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