Il
Douglas Dc8
Argomento: Aerei ed elicotteri : Articoli Data: 15/4/2007
 La Storia All’inizio degli anni cinquanta la prima nazione a dotarsi di un aereo da trasporto passeggeri a reazione fu la Gran Bretagna che riuscì a battere sul tempo ed a guadagnare svariati anni di vantaggio nei confronti degli USA.


In seguito tale vantaggio andò perduto per gli incidenti occorsi ai Comet a causa dell’allora non del tutto conosciuto fenomeno della fatica dei metalli, un problema che venne amplificato dalle prestazioni del jet inglese.
Fu così che quando i primi Dc8 e 707 arrivarono sulla scena mondiale, il Comet, che aveva ormai risolto i suoi problemi strutturali, era irrimediabilmente superato e non fu difficile per la Boeing e la Douglas riuscire a conquistare il monopolio del trasporto aereo a lungo raggio a reazione nel mondo.
Il prototipo del Dc8 decollò per il suo primo volo il 30 maggio del 1958 e dato che i successivi voli di collaudo non manifestarono grossi problemi, già il 31 agosto 1959 il Dc8 poté ottenere la certificazione della FAA (Federal Aviation Agency) americana.
I primi esemplari vennero consegnati alla Delta Air Lines ed alla United Air Lines ed il 28 settembre 1959 fu possibile effettuare in contemporanea i primi voli con passeggeri paganti.
I nuovi jet costituirono per le compagnie aeree una vera rivoluzione. Dai circa 100 posti offerti dai più moderni aerei con motori a pistoni o turboelica dell’epoca si passò improvvisamente ai 150 posti dei Dc8 e dei 707 con delle prestazioni molto superiori e un confort che non era neppure comparabile con i modelli precedenti.
Di conseguenza le compagnie aeree fecero a gara per accaparrarsi i prestigiosi aerei a reazione, nonostante il costo unitario pari a tre volte quello di un contemporaneo Dc7C o L1649 Starliner.
L’ascesa dei costi costrinse le compagnie aeree a rivedere le tariffe e le rotte per rendere redditizi i nuovi aerei e non tutti erano convinti che il gioco sarebbe valso la candela. Anche all’Alitalia, si nutrivano dubbi sulla possibilità di sfruttare appieno il nuovo “mostro” dell’aria, e molti lo vedevano come una possibile causa di fallimento, ma per fortuna il successo fu tale che la domanda di posti aumentò e non ci furono problemi a riempire le capienti fusoliere dei nuovi jet.
I Dc8 furono aerei versatili e dalle ottime prestazioni e i tecnici della Douglas calcolarono che con un aereo di serie si potesse tentare anche il record di velocità.
Il 21 agosto 1961, il Dc8/40 N9604Z destinato alla Canadian Pacific ed utilizzato per il collaudo della nuova ala con la corda maggiorata, conquistò il record di velocità per un aereo da trasporto civile riuscendo ad abbattere la barriera del suono a Mach 1,012 a 33.000 piedi di quota. Partendo da 52.000 piedi, il collaudatore Magruder picchiò per acquistare velocità e poi livellò grazie anche ad un sistema di centraggio di speciali serbatoi pieni d’acqua sistemati in fusoliera che gli consentirono di mantenere il controllo anche al di sopra di Mach 1. La velocità record venne registrata da apparecchiature a terra e da un F104 che gli volava accanto in quanto gli strumenti del Dc8 non erano in grado di misurare la velocità supersonica.

 

Purtroppo il record non venne riconosciuto dalla FAA in quanto la picchiata doveva iniziare da 50.000 piedi, ma il Dc8 rimane il primo aereo di linea ad aver superato la barriera del suono Il record resisterà fino al giugno 1969 quando verrà battuto dal Tupolev Tu144, un aereo appositamente costruito per viaggiare a velocità supersoniche.
Nonostante le grandi qualità offerte dal Dc8 le vendite tardavano a salire a causa anche del grande successo del Boeing 707 che nel frattempo si era aggiudicato la grossa commessa militare statunitense per i trasporti ed i tanker. Di conseguenza la Douglas decise di sfruttare le grandi possibilità di sviluppo della cellula allungando la fusoliera per fare più posto al carico pagante.
Nacque così la serie -60, la quale fu in grado di portare un grande carico pagante su rotte intercontinentali ed ebbe un buon successo in tutto il mondo sia nelle versioni passeggeri che in quelle cargo (-61CF, -62CF e -63CF) portando il totale delle vendite del quadrigetto della Douglas a più di 550 esemplari, di cui una buona parte della versione -63. Praticamente tutte le compagnie aeree che utilizzarono i Dc8 corti, presero anche i -60 che vennero utilizzati anche da tutte le principali compagnie cargo che trovarono nella lunga fusoliera dei -60CF il miglior compromesso tra i costi di esercizio e la redditività. Uno dei peggiori difetti dei motori a getto della prima generazione era il rumore. Inizialmente la curiosità e le eccellenti prestazioni dei nuovi aerei facevano passare in second’ordine questo problema dalla fine degli anni ’60 il livello di inquinamento acustico divenne insostenibile e quindi si pose il problema di sostituire degli aerei ancora giovani e prestanti con altri più silenziosi.
Ovviamente non tutte le compagnie erano disposte a buttare dei mezzi con ancora molte ore di volo sulle spalle e di conseguenza la Douglas studiò una soluzione che prevedeva la sostituzione dei vecchi motori P&W con altri di nuova generazione. La soluzione si materializzò con l’impiego dei nuovi turbofan CFM56. I CFM56 sono dei motori molto più grandi di quelli montati sotto le ali dei Dc8 e la loro installazione creò non pochi problemi agli ingegneri. Anche il loro prezzo più elevato fu un ostacolo ma nonostante tutto la modifica venne accettata da molte compagnie e nel 1979 la United fu la prima a decidere la rimotorizzazione di parte dei suoi -60. Alla fine vennero modificati in tutto 110 aerei che vennero rinominati -71, -72 e -73 a seconda della versione alla quale appartenevano.
Nel corso degli anni ’80 e ’90 le versioni passeggeri sono state convertite in cargo e oggi volano ancora molti Dc8-70. Infatti la lunga fusoliera unita alle tuttora valide prestazioni lo rendono ideale per le compagnie specializzate nel trasporto merci che non possono dotarsi di aeromobili più moderni.
Gli utilizzatori I Dc8 sono stati utilizzati da quasi tutte le principali compagnie aeree americane e da molte compagnie del mondo. In particolare, per citare solo i principali utilizzatori, i Dc8 hanno volato con le livree delle seguenti linee aeree: Delta Airlines, United Air Lines, Pan American, Eastern Airlines, National Airlines, Northwest Airlines, Air Canada, SAS, Braniff, Alitalia, KLM, Varig, Japan Air Lines, Finnair, Swissair, Viasa, Air Canada, UTA e così via. La Pan American, storica utilizzatrice di aerei Boeing, ordinò oltre ai 707 anche i Dc8 (25 esemplari) ma li utilizzò per poco cedendoli dopo alcuni mesi alle sussidiarie Pan Air do Brasil e Panagra. La Douglas sviluppò le versioni cargo Dc8-50JT e Dc8-60CF e praticamente tutte le principali compagnie aeree specializzate nel trasporto merci hanno utilizzato il Dc8: UPS, Flying Tiger, Arrow Air, Aer Turas, German Cargo, Cargolift, Cargosur, Lufthansa Cargo, ATI, Cignus Air, ecc.
Solo pochi Dc8 hanno portato la divisa militare e nessuno, al contrario del Boeing 707, ha volato con le insegne dell’USAF. La maggiore utilizzatrice è stata la Armeè dell’Air francese ma pochi altri esemplari sono stati usati dall’Ejercito dell’Aire, dalla Royal Thai Air Force e da altre forze aeree africane.
La NASA possiede tutt’ora un Dc8-72 (un ex Dc8-62 dell’Alitalia rimotorizzato con i turbofan CFM56) e la NAVY che ha in carico un Dc8-50 che utilizza per addestrare il personale all’uso delle contromisure elettroniche. Le versioni Il Dc8 nella sua vita operativa si è dimostrato un aereo versatile e numerose sono state le versioni che hanno caratterizzato la sua storia:

  • Dc8-10. Realizata in 28 esemplari fu l’unica propulsa dai motori P&W JT3C ma effettivamente fu solo una transizione in attesa delle serie -20 e -30
  • Dc8-20. La versione -20 montava i P&W JT4A-3 ed aveva un peso al decollo decisamente più elevato. Fu costruita in 34 esemplari e venne utilizzata nelle rotte interne degli USA in quanto aveva un autonomia limitata
  • Dc8-30. Fu con la serie -30 che il Dc8 divenne un aereo realmente intercontinentale. Grazie ai motori P&W JT4A-9 -11 e ai serbatoi di combustile più capienti il Dc8-30 poteva volare con il massimo carico utile di kg. 142.884 per km. 8.705
  • Dc8-40. La serie -40, caratterizzata dalla grande potenza dei motori Rolls Royce Conway e con un elevata autonomia (oltre 9.000 km), non ebbe un grande successo in quanto fu realizzata solo in 32 esemplari, dei quali una buona parte volarono con i colori della Alitalia. Dalla serie /43 la Douglas modificò l’ala con un incremento della corda del 4% migliorando sensibilmente le prestazioni dell’aereo e i suoi consumi. Tale modifica venne anche montata su quasi tutti gli aerei delle serie precedenti
  • Dc8-50. L’ultima versione dei Dc8 “corti” fu la -50. Propulsa dai nuovi motori P&W JT3D, consentì una notevole riduzione dei consumi rispetto al JT4A-11 della -30 permettendo ai suoi operatori di volare per lunghe tratte senza sosta. A dimostrazione di ciò nell’aprile 1961 un Dc8-50 percorse la tratta Long Beach-Roma (oltre 11.000 km) in poco più di 11 ore stabilendo un nuovo record. Dalla serie -50 venne sviluppata anche la versione cargo (-50JT Jet Trader)
  • Dc8-61. La -61 ebbe la fusoliera allungata di 11 metri e 23 cm e montava i motori P&W JT3D-3B. Grazie al maggiore spazio a disposizione poteva portare fino a 259 passeggeri in classe unica
  • Dc8-62. Nella versione -62 l’allungamento fu solo di 2 metri e 3 cm, ma la novità consisteva in una nuova ala più allungata con l’aggiunta di tip alari, in piloni dei motori di nuovo disegno più aerodinamico e nei motori P&W JT3D-7. Grazie a queste modifiche il Dc8-62 poteva imbarcare 189 passeggeri e raggiungere percorrenze superiori ai 8.000 km. Molti piloti considerano tuttora il Dc8-62 uno dei migliori aerei della sua categoria
  • Dc8-63. Aveva la stessa fusoliera e capienza del -61 ma montava la stessa ala e gli stessi motori del -62
  • Dc8-71, -72, -73. Come i Dc8-61, -62, -63 ma con i motori CFM56. Oltre alle già citate caratteristiche di basso inquinamento acustico, grazie alla maggiore potenza dei propulsori, portano un carico pagante superiore e sono tutt’ora utilizzati soprattutto nelle versioni cargo.

 

I Dc8 in Italia
Quando nella metà degli anni ’50 la Boeing, la Douglas e la Convair annunciarono l’arrivo dei nuovi quadrimotori a getto, da parte di tutte le più importanti compagnie mondiali ci fu una corsa per accaparrarsi per primi i nuovi aerei convinti che il salto tecnologico sarebbe stato tale da giustificare gli enormi costi che l’impiego di tali aeromobili comportava.
Le compagnie nord americane fecero la parte del leone ed anche nel resto del mondo la Boeing e la Doulgas raccolsero ordini ed opzioni. In Italia la situazione era ben diversa. Nel dopoguerra apparvero decine di compagnie che con il passare del tempo sparirono o si fusero tra di loro ed in breve tempo il numero si assottigliò fino a rimanere solo in due: l’Alitalia e la LAI Linee Aeree Italiane.
La LAI era di comproprietà americana (il 40% delle sue azioni appartenevano alla TWA), ed era in una situazione abbastanza florida e quindi non gli fu difficile piazzare un opzione per i Boeing 707-420, mentre l’Alitalia (il cui 40% del capitale apparteneva alla inglese BOAC) era ancora indecisa su dove orientarsi ma, avendo operato con soddisfazione tutti i quadrimotori ad elica della Douglas, preferiva il Dc8.
Nel 1957 il Governo Italiano si rese conto che per rendere il trasporto aereo più efficiente ed economico le due compagnie si dovevano unire in una sola e quindi nell’ottobre dello stesso anno le quote straniere vennero alienate (la LAI si riprese le sue quote dalla TWA barattandole con i 4 Lockheed Starliner che aveva ordinato e che stavano per entrare in servizio) e nacque la Alitalia Linee Aeree Italiane spa.
A causa del tempo perso nella trattativa per la fusione, la nuova compagnia fu in grado di pensare all’acquisto dei nuovi aerei solo nei primi mesi del 1958, con la prospettiva di poter avere i Dc8 o i 707 non prima della fine del 1961. Questo ritardo nelle consegne creava però un grosso problema perché nell’estate del 1960 si sarebbero svolti i Giochi Olimpici a Roma e, a parte la necessità di garantire il maggior numero di posti per tutti gli atleti e spettatori che sarebbero arrivati in Italia, sarebbe stata un’ottima occasione per poter lanciare in tutto il mondo la nuova compagnia aerea italiana.
Quindi poter disporre di alcuni dei nuovi aviogetti per la primavera del 1960 diventò una priorità assoluta per vertici dell’Alitalia che si girarono in tutte le direzioni per poterli ottenere quanto prima a tutti i costi. Grazie ad un accordo con l’Air France, quattro bimotori Caravelle III, adatti per il corto e medio raggio furono disponibili nella primavera/estate 1960 mentre per i quadrimotori a lungo raggio l’unica soluzione possibile era il mediocre Convair Cv880 che l’Alitalia sarebbe stata costretta ad ordinare.
A questo punto alla Douglas si resero conto che perdere l’Alitalia avrebbe significato rinunciare ad una grossa fetta del mercato europeo e, grazie anche ai rapporti di amicizia tra il fondatore Donald Wills Douglas e il Presidente dell’Alitalia Bruno Velani, dopo uno sforzo industriale ed una complicata trattativa, la casa americana riuscì a cedere quattro Dc8-40 all’Alitalia entro il 1960 di cui almeno due da consegnare entro la primavera.
Fu così che il 29 aprile 1960 il Dc8-43 I-DIWA pilotato dal Comandante Angelini atterrava a Ciampino e appena fermo veniva subito attorniato da una folla di curiosi affascinati dalle dimensioni e dalla bellezza del nuovo aereo. Il 1 giugno 1960 l’I-DIWA iniziava il servizio sulla prestigiosa tratta Roma-New York, mentre nel mese di luglio arrivavano anche l’I-DIWE e l’I-DIWI garantendo il tanto sospirato servizio su aviogetti durante le Olimpiadi romane. In totale l’Alitalia utilizzò 15 Dc8-43, che hanno proficuamente servito le maggiori tratte internazionali ed intercontinentali.
Vennero tutti ritirati dal servizio entro il 1977. Nel 1965 si pose il problema di poter disporre di un aereo più capiente e dotato di maggiore autonomia, e per l’Alitalia fu quasi obbligatorio scegliere una versione aggiornata del quadrimotore della Douglas. La scelta cadde sul Dc8-62 e nel 1967 entrarono in servizio i primi esemplari subito immessi sulle principali tratte intercontinentali tra cui la nuova rotta polare Roma-Tokio, resa possibile dalla grande autonomia del nuovo modello. In totale vennero acquistati undici Dc8-62 di cui due nella versione -62CF cargo.
Nel 1981 anche i Dc8-62 vennero ceduti, sostituiti dai più capienti e moderni Dc10 ed A300. L’Alitalia ha utilizzato anche un certo numero di altri aerei affittati da compagnie cargo. Il primo Dc8 cargo a volare con le insegne italiane fu proprio un Dc8-50JT della Cargolift affittato nel 1965.

 

I Dc8 hanno servito nell’Alitalia a cavallo degli anni ’60 e ’70 e quindi hanno portato la vecchia livrea cosiddetta “Pentagramma” (bianca con la parte inferiore della fusoliera in alluminio le righe celesti e blu all’altezza dei finestrini e la caratteristica coda tricolore) e la più moderna “verdone ” entrata in vigore nel 1970 (interamente bianca con la striscia verde e la A verde e rossa sulla coda), ma ci fu una livrea molto particolare e forse sconosciuta ai più portata con grande onore da un Dc8 italiano.
Nel 1963 il Pontefice Paolo IV decise che per il suo prossimo viaggio all’estero voleva usare per la prima volta il mezzo aereo. La scelta per la compagnia aerea cadde sull’Alitalia la quale per onorare l’avvenimento decise di dipingere il Dc8-43 I-DIWS con i colori dello Stato del Vaticano. Di conseguenza venne tolta la grossa scritta Alitalia sulla fusoliera (sostituita da una scritta più piccola accanto alla portello di ingresso), vennero apposti due simboli del Papa Paolo IV sul muso e soprattutto il tricolore della coda viene sostituto dai colori giallo-bianco dello Stato del Vaticano. Così dipinto l’I-DIWS partì da Roma nel gennaio 1964 e condusse il Papa Paolo IV nel Suo storico pellegrinaggio in Terra Santa.
Il Dc8 è stato certamente uno dei più importanti aerei nella storia dell’Alitalia ed ha servito per 21 anni con profitto ed efficacia ma purtroppo negli anni ’60 e ’70 la sicurezza nei voli era ancora da perfezionarsi e ben 4 sono andati perduti per altrettanti incidenti: il Dc8-43 I-DIWD cadde nel 1962 in India per una prematura discesa verso Bombay, il Dc8-43 I-DIWF precipitò nel 1968 durante l’avvicinamento a Malpensa a causa delle avverse condizioni meteo, il Dc8-43 I-DIWB si schiantò nel 1972 contro una montagna durante l’atterraggio a Palermo-Punta Raisi ed infine il Dc8-62 I-DIWZ nel 1970 atterrò pesantemente e si distrusse sulla pista dell’aeroporto di New York.
Quest’ultimo incidente merita qualche riga di più per la causa che provocò il disastro e cioè l’errato utilizzo degli inversori di spinta nell’ultima fase dell’avvicinamento. Tale utilizzo non era contemplato dal manuale ma molti piloti (non solo di Dc8) lo usavano in talune condizioni per rallentare l’aereo ed evitare un uso esagerato dei freni. Purtroppo quel giorno le particolari condizioni meteo provocarono lo stallo dell’aereo che cadde pesantemente finendo fuori pista e spaccandosi in due. Miracolosamente non ci furono morti ma da allora la Douglas vietò categoricamente l’uso degli inversori di spinta prima dell’atterraggio. Ma questi avvenimenti non minano la grande affidabilità e facilità di pilotaggio del Dc8, dimostrata in tante occasioni, come, ad esempio, nel novembre 1963 quando nel bel mezzo di una tormenta di neve, il Comandante Aldo Tait, che era stato anche aiutante di volo del Duca d’Aosta, riuscì ad atterrare a New York mentre tutti gli altri aerei si erano trovati costretti a riattaccare e cambiare aeroporto, o come quando, durante i voli verso l’Australia o l’Africa, i Dc8 decollavano a pieno carico (e spesso anche oltre) in aeroporti con temperature roventi e nonostante tutto riuscivano a fare quota e a portare sempre a termine il loro volo.
Ma la dimostrazione più lampante della straordinaria robustezza del Dc8 avvenne il 26 giugno 1970 sui cieli del Medio Oriente. Il Dc8-62 I-DIWL stava effettuando il volo 713 Teheran-Roma e mentre passava vicino a Damasco l’equipaggio venne avvertito che lo spazio aereo siriano era stato chiuso al traffico e che l’aereo doveva cambiare immediatamente rotta. Il comandate comunicò che non erano stati avvertiti prima ma che avrebbero subito virato e cambiato la rotta. L’equipaggio non fece a tempo a finire la virata che venne avvertito un grosso botto sulla sinistra. L’autopilota si disattivò, l’aereo prese una violenta imbardata sulla sinistra, si mise a coltello e si buttò in picchiata. Il comandante agì istintivamente e, dopo una caduta di tremila piedi, riprese il controllo della situazione. L’ala sinistra era stata colpita da un missile terra-aria che era scoppiato proprio in mezzo ai due motori. Il motore numero uno era distrutto e penzolava pericolosamente sotto l’ala mentre il due ancora funzionava ma era danneggiato. L’ala presentava un grosso buco dal quale fuoriusciva il carburante del serbatoio alare, il bordo d’attacco e il flap erano danneggiati ed anche lo stabilizzatore sinistro era stato colpito dai detriti dell’ala. Il pericolo di un incendio era tale che anche il motore numero due dovette essere spento e quindi l’aereo si trovò a volare sbandato con i soli due motori di destra e con l’impianto idraulico che stava andando fuori uso. L’equipaggio chiese immediatamente l’atterraggio di emergenza a Damasco ma venne rifiutato in quanto nella zona si stavano svolgendo dei combattimenti e di conseguenza dovette affrontare il lungo viaggio verso Beirut con l’aereo che perdeva progressivamente quota.
A bordo alcuni passeggeri erano rimasti contusi e c’erano scene di panico e solo la freddezza e la professionalità dell’equipaggio riuscirono a tenere la situazione sotto controllo. Durante l’avvicinamento il carrello si rifiutò di scendere e si dovette estrarlo per gravità, mentre i flap furono fatti uscire con una lunga procedura d’emergenza. Purtroppo non fu possibile aprire gli slots su bordo di attacco alare e quindi l’atterraggio dovette essere effettuato ad una velocità più elevata del previsto ma per fortuna il poco liquido idraulico rimasto fu sufficiente per controllare il velivolo e per frenarlo dopo essersi mangiato tutta la pista. Anche l’evacuazione avvenne senza problemi e tutto finì per il meglio, con tanta paura ma con la consapevolezza di essersela cavata anche grazie alla eccezionale robustezza dell’aereo della Douglas.
Oltre all’Alitalia anche un’altra compagnia italiana ha utilizzato il Dc8: la Aeral, compagia aerea per viaggi a domanda usò dal 1979 un Dc8-54F e un -55, ma ebbe vita breve e chiuse l’attività nel 1980.
Conclusione
Se al giorno d’oggi in un anno circa un quarto della popolazione mondiale viaggia in aereo, il merito va soprattutto ai primi aerei a reazione nati negli anni ‘60 come il Dc8 che ha rappresentato una pietra miliare nella storia del trasporto aereo.
Certamente è stato un aereo che avrebbe dovuto vendere di più ma ha trovato nel 707 un avversario temibile che gli ha tolto grosse fette di mercato. Il quadrimotore della Boeing ha avuto il successo che tutti conosciamo grazie alle ottime caratteristiche di volo ed alle grosse commesse civili e militari dovute alla potenza politica ed industriale della Boeing, ma il Dc8 era sotto molti aspetti un aereo migliore. Autonomia, prestazioni generali, versatilità, robustezza, facilità di pilotaggio, larghezza e lunghezza della fusoliera ne hanno fatto un aereo validissimo e soddisfacente sotto tutti i punti di vista. E la dimostrazione di ciò sta nel fatto che nel 2007 di Boeing 707 civili non ne volano quasi più nessuno, mentre di Dc8 ce ne sono ancora alcune decine, quasi tutti che operano in voli cargo. Quando anche questi si ritireranno a terra per la inevitabile fine delle ore di volo sarà davvero finita un’epoca.

Caratteristiche tecniche (relative alla versione Dc8-63)

  • Dimensioni:
    - apertura alare 45,24 m
    - lunghezza 57,12 m
    - altezza 12,93 m
    - superficie alare 271,92 mq.
  • Pesi:
    - a vuoto 69.740 kg
    - massimo al decollo 158.750 kg;
  • Motori: quattro Pratt & Whitney JT3D-7 da 8.600 kg/s
  • Prestazioni:
    - velocità massima 966 km/h
    - tangenza pratica 11.500 m
    - autonomia massima 7.250 km
  • Equipaggio: quattro + assistenti di volo
  • Passeggeri: fino a 259

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