Il
Dal Luglio al Settembre del 1943 - Parte Seconda
Argomento: Storia : Moderna Data: 3/2/2007
Agosto: Il governo che non c’è tratta la resa
La dissoluzione del partito Fascista e del regime, aveva creato un vuoto istituzionale che il nuovo governo Badoglio non riusciva a riempire. Con la sua famosa dichiarazione, “la guerra continua”, pronunciata nell'assumere l'incarico di capo del governo, Pietro Badoglio aveva pensato di ingannare i tedeschi circa la sua volontà di mantenere fede all'alleanza e questi avevano fatto finta di crederci. In realtà, la reciproca sfiducia era totale, e sia gli uni sia gli altri metteranno in scena una commedia degli inganni, che durerà fino all'8 settembre 1943.


Senza un parlamento, con solo dei ministri, Vittorio Emanuele III si trovò per la prima volta nella sua vita, nella condizione di essere veramente “Re” e commise una serie di errori:
• Respinse la richiesta di Badoglio di dare pieni poteri al suo gabinetto per una legislazione di emergenza.
• Perse l’opportunità di concludere entro il primo d’Agosto un armistizio, quando il momento era favorevole, visto l’esiguo numero di truppe tedesche presenti in Italia.
• Attese invece giorni su giorni per vedere quello che succedeva e diede così tempo ai tedeschi di rinforzarsi.

Un errore dietro l’altro, e non si tratta del solito scrivere col senno di poi, erano scelte da fare evidenti, dettate dai fatti.

Tutta la vita politica di Vittorio Emanuele III, fu improntata al trasformismo e all’attendismo. In quest’ottica Badoglio era solo un esecutore materiale dei suoi piani per porre termine alla guerra e salvare le sorti dinastiche.
Ma in maniera per lui inattesa, l’attendismo ed il trasformismo del Re, si scontrarono con l’attendismo ed il trasformismo di Badoglio. Il Re si aspettava uno stimolo, un’iniziativa politica decisa da parte di Badoglio, ma questi era un militare non un politico ed era più attendista di lui! Risultato: stallo istituzionale totale, proprio nel momento in cui si doveva assolutamente prendere una decisione.

Il Generale Pietro Badoglio.
Sarà un mero pregiudizio personale che forse è sbagliato riportare qui, ma non riesco a parlare in maniera serena e positiva, di questo personaggio. Gli inglesi su di lui crearono un neologismo: to badogliate. Tradotto letteralmente suona più o meno: cambiare parte, girare le spalle. Basta così.

Il Re si preoccupava principalmente delle fortune della monarchia in Italia, temeva gli antifascisti più degli ex-fascisti, egli era ben conscio delle loro radici politiche repubblicane o ancora peggio comuniste, per queste ragioni puntò su Badoglio. Questi era un leale monarchico ma, se come militare era scadente, come politico era quasi un incapace! Come meglio gli riuscì e senza un preciso piano politico, Badoglio navigò verso l’armistizio.

Badoglio, dopo aver sciolto il PNF non permise la formazione di nuovi partiti, non toccò nulla nei vertici dell’esercito, le formazioni militari fasciste (MVSN) furono inquadrate nel Regio Esercito, scelte dettate dal timore di una “rivoluzione” comunista.
E’ vero che si affrettò a promulgare un’amnistia per tutti i reati politici, ma in realtà mentre apriva le carceri concedeva a ben pochi di rientrare dal confino, all’8 Settembre quasi tutti i “confinati” del regime, soprattutto socialisti e comunisti, si trovavano ancora “in prigione”.

Si può rimproverare agli esponenti antifascisti moderati di non essersi mossi, di non aver dato una spallata “politica” a Badoglio ed aver preso il potere, considerata anche la facilità con la quale il regime era caduto. Ma non disponevano della “potenza” dello Stato, della Radio, dell’Esercito.
Le fazioni politiche non di sinistra, erano poco più che organizzazioni clandestine senza nessun tipo di presa sulle masse popolari, una specie di circolo chiuso di intellettuali.
I comunisti al contrario, avevano largo seguito popolare, però erano guardati con sospetto da tutti. Appoggiati dalle masse operaie dell’Italia settentrionale, avrebbero potuto dopo il 25 Luglio dare una decisa svolta rivoluzionaria alla situazione interna, ed assumere il controllo politico della nazione, considerazione avvalorata dal fatto che i tedeschi non erano ancora presenti in forze nel territorio nazionale. Non fecero nulla perché non avevano precise indicazioni politiche, ed il “compagno Ercoli” (Palmiro Togliatti) se ne stava in Russia, impegnato com’era a massacrare i nostri poveri alpini internati dai russi in campi di prigionia che avevano poco da invidiare ai lager nazisti. Nei primi giorni di agosto, il comitato centrale discusse la possibilità di avviare una rivoluzione comunista, la riunione che doveva pianificare la rivolta delle masse operaie nel Settentrione, fu rinviata, destino beffardo, all’ 8 Settembre.
Quindi la parte “liberale” faceva chiacchiere, imitata da quella “rossa”.
Gli unici a fare qualcosa sia pur fra pareri contrastanti erano gli esponenti del “centro”: Bonomi, De Gasperi e Bergamini. Prevaleva la linea di De Gasperi che rappresentava la Democrazia Cristiana: “…mentre tutti vogliono essere nel gruppo che ha agito per liquidare Mussolini e la sua banda ed avere così tutti gli onori e la benevolenza dell’intero paese, nessuno vuole prendersi l’onere di trattare l’armistizio e di guidare un paese a pezzi dopo la guerra, ma ci resta solo il secondo compito, il primo ormai è esaurito, sarebbe un errore politico per me e per il mio partito non accettare una tale responsabilità….” (10)
Bonomi asseriva:”…se si dovrà chiamare il popolo per cacciare i tedeschi dall’Italia, si dovrà farlo quando gli anglo-americani avranno messo piede in Italia e non prima…” (10)

In questa situazione si provava ad andare verso la pace.

Nella prima settimana d’Agosto furono emanati dallo Stato Maggiore dell’Esercito dei fogli d’ordine alquanto sibillini, riporto il foglio “111 CT”. Dimostra come ci si stava preparando alla resa e all’eventuale collaborazione con gli Alleati:

“A seguito e conferma dei precedenti ordini verbali precedentemente dati:
- reagire ad eventuali violenze tedesche
- salvaguardare da colpi di sorpresa e colpi di mano i comandi le centrali di collegamento ecc.
- rafforzare la sorveglianza e la protezione di installazioni fondamentali (centrali elettriche, ponti ecc.)
- sorvegliare attentamente i movimenti delle truppe tedesche e l’eventuale loro fiancheggiamento da parte di elementi fascisti
- studiare e predisporre colpi di mano contro elementi vitali delle Forze Armate Tedesche (autoparchi, deposti di carburante e munizioni, aeroporti ecc.)
L’attuazione di suddette disposizioni avverrà su ordini del centro oppure di iniziativa qualora le truppe tedesche procedessero ad atti di ostilità collettiva non confondibili con gli ordinari incidenti.”

L’ordine arrivò ai comandi tra il 10 e l’11 agosto, sembra però che non sia stato mai divulgato, rimase di esclusiva conoscenza degli ufficiali superiori dei comandi di destinazione. La prova consiste nell’evidente sorpresa con cui i nostri soldati ed ufficiali furono colti dalla notizia dell’armistizio nel mese successivo (vedi https://www.modellismopiu.it/modules/news/article.php?storyid=653 ).

Le condizioni richieste dagli alleati per un armistizio erano note e semplici: resa senza condizioni.
Ma il Re, per motivi di prestigio, esigeva un negoziato. Messi da parte gli avventurosi contatti imbastiti da Bastianini nel mese di giugno, non potendo aspettarsi aiuto da un mediatore importante come il Vaticano, tenne il piede in due staffe: da un lato spergiurava agli emissari tedeschi la sua fedeltà, segretamente cercava un contatto con gli Alleati.
Naturalmente Hitler era convintissimo che le parole del Re fossero bugie e che stava trattando con gli alleati, ma stava al gioco.

Nella prima settimana d’Agosto furono tentati approcci diplomatici che Badoglio, padre di queste iniziative, a rapporto dal Re definì come “… trame sottili, l’inizio di un fine lavoro di ricamo…”. Si, un autentico lavoro di pizzo, l’apoteosi del voltagabbana, ossia: “come passare armi e bagagli agli alleati sotto il naso dei tedeschi in 30 giorni senza perdere la faccia, potere e privilegi”.
Inviò Blasco Lanza D’Ajeta, ex portaborse di Ciano a Lisbona, unicamente perché aveva rapporti di parentela con gli Inglesi! Campbell ambasciatore inglese a Lisbona non mosse un muscolo quando ‘il Blasco’ letteralmente spalmato su una enorme carta geografica gli indicò la disposizione delle divisioni tedesche in Italia. Lo cacciò via in malo modo dicendo che queste informazioni erano note da tempo al Comando Alleato, non servivano a niente, erano cose risapute.
Negli stessi giorni a Tangeri è di scena Alberto Berio, diplomatico di bassa levatura ma badogliano di ferro, ottiene gli stessi risultati di cui sopra. Gli alleati volevano che a condurre le trattative fossero dei militari con piene credenziali.

Il 6 agosto si tenne a Tarvisio un summit Italo-Tedesco, invano Roatta e Ambrosio tentarono di indurre i tedeschi di spostare il grosso delle loro truppe dal Centro alla valle del Po o ancora meglio verso Sud, Roatta arrivò addirittura ad affermare: “…non siamo come i Sassoni che passano al nemico durante la battaglia…”(4)

Il 7 agosto il Capo di Stato Maggiore, Generale Ambrosio, affidò l’incarico di condurre le trattative al Generale d’Artiglieria Giuseppe Castellano, cinquantenne e all’epoca dei fatti, il più giovane generale Italiano.
Le istruzioni che Castellano ricevette erano molto limitate: esporre la situazione militare italiana, ascoltare le intenzioni degli alleati, sottolineare che l’Italia aveva bisogno del loro aiuto per sganciarsi dalla Germania, riferire al governo e al Re. Ma che bisogno c’era di “ascoltare le condizioni degli alleati”, quando queste erano ben note? Il risultato della conferenza di Casablanca del Febbraio 1943, era chiaro: “Resa senza condizioni”, non esistevano margini di “interpretazione”.
Badoglio, non ritenne importante parlare con l’emissario del suo governo prima che iniziasse la sua missione, poteva bastare quanto detto da Ambrosio, una volta di più si lasciava andare ad un attacco di “panico da palcoscenico” e si defilava nei momenti critici, com’era già successo a Caporetto molti anni prima, e più di recente all’epoca della campagna di Grecia. Anche il Re non parlò con Castellano prima della partenza.
A Castellano venne fatto capire di “prendersela comoda”, quindi partì in treno quando si sarebbe potuto risparmiare tempo prezioso utilizzando un aereo, non venne munito di una radio ne messo al corrente che i servizi della Regia Marina e del Regio Esercito, a Lisbona e Madrid, disponevano di radio e cifrari sicuri.

Il giorno 12 agosto, Castellano partiva per Lisbona al seguito di una missione diplomatica che doveva rilevare il personale della nostra Ambasciata in Cile, dato che anche il Cile ci aveva appena dichiarato guerra…..
Aggregato al gruppo come “Commendator Raimondi” responsabile dell’ufficio Cambi e Valute, fu affiancato come “segretario” dal Maggiore Montanari, che era di padre italiano e madre americana e conosceva perfettamente l’inglese, Castellano difettava in tale lingua.
All’insaputa di Castellano il Re aveva mandato in Spagna altri due emissari: il Generale Zanussi e Dino Grandi, entrambi viaggiarono, a differenza di Castellano, in aereo su un volo di linea, erano entrambi sullo stesso volo e ognuno ignorava la presenza dell’altro!
Entrambi privi di credenziali ufficiali, arrivarono a Lisbona tre giorni prima di Castellano e contribuirono ad alimentare la scarsa considerazione Alleata rispetto alla nostra volontà di condurre serie trattative di armistizio.
Di Zanussi, gli Alleati sapevano delle sue simpatie filotedesche, e quando dichiarò di voler salvare quel poco che rimaneva del Fascismo, non lo presero neanche in considerazione.
Grandi parlava in “nome del Re” ed era fermamente convinto che gli Inglesi avessero una enorme stima nei suoi confronti, senza credenziali non fu neanche ricevuto.

Il gruppo di Castellano, rimase fermo il 15 agosto a Madrid, egli approfittò della sosta per prendere contatto con l’Ambasciatore Inglese in Spagna Samuel Hoare, unica credenziale che aveva era un biglietto di presentazione avuto a Roma da Osborne rappresentante diplomatico inglese presso la Santa Sede.
Hoare, diplomatico molto esperto ed abile, intuì che forse stavolta non si trattava del solito “dilettante allo sbaraglio” visto che aveva di fronte due persone che si erano qualificate come un Generale di Stato Maggiore e un Maggiore del Regio Esercito, mise a loro agio i due dichiarandosi “grande amico dell’Italia” ed ascoltò con interesse quello che avevano da dire, poi fece una domanda molto precisa. Eccola, come risulta da fonte inglese e dal libro di Castellano:
D: “What the Italians would do respect the allied demand for unconditional surrender? (Cosa farebbero gli Italiani in relazione alla richiesta alleata di resa incondizionata?)”
R: “We are not in position to make any terms. We will accept unconditional surrender provided we can join the allied in fighting the Germans. (Non siamo nella posizione di porre condizioni. Accetteremo la resa incondizionata purchè ci si possa unire agli alleati e combattere i Tedeschi.”
D: “Will you so kind to repeat ? (Sarebbe cosi’ cortese da ripetere?)”
R: (scandendo)“We are not in position to make any terms. We will accept unconditional surrender provided we can join the allied in fighting the Germans.” (7)

Il diplomatico si affrettò a telegrafare a Londra, scrivendo di avere nello studio un Alto Ufficiale di Stato Maggiore Italiano che aveva con se le credenziali per trattare un armistizio, e trasmettere il verbale del colloquio a Eden, ministro degli esteri inglese e Churchill
Churchill che si trovava a Quebec dal 12 agosto, insieme a Roosvelt e Stalin definì la proposta “tempting” (allettante). Gli alleati valutarono in fretta le difficoltà di carattere politico che avrebbero potuto sorgere, e poi redassero due documenti:
- il famoso “Short Armistice” in 12 punti da consegnare agli italiani, a cui sarebbe seguito il ben più gravoso armistizio lungo
- il “documento di Quebec”, la base della nostra futura cobelligeranza.

Nel secondo documento gli alleati s’impegnavano ad accettare la collaborazione Italiana nella guerra contro i tedeschi e s’impegnavano ad ammorbidire le clausole armistiziali in rapporto all’impegno profuso dall‘Italia nella guerra.

Giunto a Lisbona il 16 agosto, Castellano prese contatto con Campbell, poi attese fino al 19 Agosto che gli alleati si facessero vivi.
L’attesa, per uno come Castellano che era convinto di dover essere chiamato a svolgere un altissimo ruolo e rimanere immortale nella storia d’Italia, dovette essere frustrante.
Senza nessun preavviso, alle 22.30 del 19 Agosto 1943, Castellano e Montanari furono prelevati dal loro albergo e portati di corsa in un’auto coperta nell’ambasciata Inglese.
Vi trovarono il Capo di Stato Maggiore di Eishenower Generale Walter Bedell Smith e il capo del servizio d’informazione Inglese Generale Kenneth Strong.
Bedell Smith pur non essendo di estrazione universitaria come gli altri ufficiali dello Stato Maggiore di Eisenhower, era il suo fidatissimo braccio destro, considerato un brillante organizzatore e valente ufficiale, aveva un innato caratteraccio e modi molto bruschi che più volte causarono violenti attriti con gli Inglesi, detestava profondamente Tedeschi ed Italiani.
Strong era un omone gigantesco dalla voce tonante e poco incline al sorriso, forse perché tormentato dall’ulcera gastrica.
Non salutarono, non strinsero la mano, non si mostrarono cordiali, neanche un cenno del capo. Visionate le credenziali di Castellano, Bedell Smith parlò, come suo solito, con tono secco e burbero:
“Mi risulta che siete qui per chiedere i termini di un armistizio. Eccoli... ” e lesse i 12 punti dello Short Armistice. Poi riprese “…Questi termini non possono essere discussi, solo accettati integralmente.” (7) e fece intendere di aver detto tutto quello che aveva da dire.
Castellano non aveva avuto modo di aprire bocca, finivano così i suoi sogni di gloria, si era illuso di essere accolto come un alleato, aveva ricevuto un ultimatum.
Chiese quando sarebbe avuto lo sbarco principale in Italia, ottenendo un muro di silenzio .
Chiese allora in che modo il governo Italiano avrebbe comunicato l’accettazione dei termini.
Fu munito di una radio ricetrasmittente occultata in una valigetta e di un cifrario, servendosi di un romanzo italiano trovato a Lisbona.
Il governo Italiano aveva tempo fino al 31 Agosto per comunicare l’accettazione dei termini.
Se ci fosse stato un si, un nuovo incontro era previsto per il 1 Settembre in Sicilia, e fu tutto.
Il giorno dopo, a Castellano venne anche recapitata una copia del documento di Quebec.

Per chiarezza riporto dopo la bibliografia il testo dello “Short Armistice” .

Castellano riuscì a rientrare a Roma solo il 27 Agosto dopo un viaggio avventuroso e si recò a rapporto da Badoglio, venne letto lo Short Armistice ed il documento di Quebec.
Solo il 29 agosto Badoglio informò il Re dei risultati della missione, il Re fece la solita recita: “ …sono un monarca costituzionale non spetta a me decidere, ma tocca al primo Ministro…” Badoglio decise allora di mandare Castellano in Sicilia per dire “Ni”
Che Badoglio ed il Re fossero fuori dalla realtà e vivessero in un loro mondo lo dimostra l’insensata richiesta di cui si fa latore Castellano.
Il governo Italiano aveva deciso di:
- rompere l’alleanza con la Germania
- cessare le ostilità contro le Nazioni Unite
- prendere le misure necessarie a cacciare le forze tedesche oltre le Alpi.

Per realizzare gli obbiettivi chiedeva:
- lo sbarco di almeno 15 divisioni Alleate fra Civitavecchia e La Spezia, poste sotto il comando di Badoglio, in data da concordarsi.
- l’armistizio avrebbe dovuto essere reso pubblico prima dal governo Italiano e poi dagli Alleati, esattamente il contrario di quanto stabiliva il documento di Quebec.
- La restituzione dell’Albania e delle colonie africane perdute!

A queste condizioni avrebbero firmato.

Il 30 agosto Castellano comunicò agli alleati che stava per arrivare in Sicilia, e giunse effettivamente a Cassibile (Farfield Camp per gli Alleati), il giorno dopo su un aereo Americano!
Il Comando Alleato fu sorpreso, quando scoprì che Castellano non aveva pieni poteri, e s’infuriò, quando egli elencò le “clausole” militari e politiche suggerite da Badoglio, non fu rispedito indietro con un calcione nel sedere, ma il senso fu quello.
Il Generale Alexander era quello più arrabbiato,
“…è uno strano modo di negoziare quello del vostro governo. Se l'armistizio non sarà firmato entro 24 ore, saremo costretti a radere Roma al suolo" Eisenhower più ‘diplomatico’ disse: “…dovete pensare che voi ci avete fatto la guerra per tre anni, e molti di noi sono morti per opera vostra. Mica possiamo trattare con tanta faciloneria!”
Il consigliere presidenziale Harry Hopkins commentava ironicamente: "Non mi piace l'idea di questi due (Vittorio Emanuele III e Badoglio) che cambiano campo quando si rendono conto che stanno per essere sconfitti e che si rivolgono a noi perché li aiutiamo a restare al potere". (7)
L’imbarazzo e lo spavento di Castellano dovevano essere evidenti, Bedell Smith che a Lisbona lo aveva trattato come un pezzente, cercò di sollevargli il morale dicendogli: "Le clausole sì sono dure, ma sono formali, se starete al nostro fianco i termini reali saranno ben diversi"(7)
Sia ad Alexander che ad Eisenhover un eventuale appoggio degli italiani non sarebbe dispiaciuto. Fu così deciso di prendere in considerazione un aviosbarco su Roma. Che qualcosa insomma si poteva fare, se era questo che voleva Badoglio. Non fu facile convincere il generale Clark a privarsi della divisione aerotrasportata, ma alla fine Eisenhover la spuntò.
Sulla questione della data dell’annuncio dell’armistizio gli alleati furono irremovibili.

Il 31 agosto Castellano era di nuovo a Roma con il testo dell’armistizio in mano e la promessa dell’aviosbarco su Roma, ed il netto rifiuto delle clausole proposte dal governo.
Prendere o lasciare.
C’era poco da scegliere, il Re e Badoglio “presero”.

Nello stesso giorno il Comando Supremo emise la “Memoria 44”, come ampliamento del “foglio 111 CT” riporto una sintesi:

• Interrompere ad ogni costo anche con attacchi in forza ai reparti Germanici di protezione, le ferrovie e le principali rotabili alpine
• Agire con grandi unità o raggruppamenti mobili contro le unità Tedesche lungo le linee di comunicazione
• Passare ad una azione organizzata d’insieme appena chiarita la situazione

L’azione organizzata d’insieme era da intendersi con le unità Anglo-Americane. Noto anche come “Op44” nelle intenzione del Comando Supremo, la direttiva doveva far scattare una rivolta armata contro i tedeschi in Italia nel momento in cui l’annuncio dell’armistizio sarebbe stato diramato su scala nazionale, la direttiva restò invece confinata fra Comando Supremo e Stato Maggiore.
A proposito dell’“Op44”, il generale Carboni che ricordo era il comandante militare della piazza di Roma, ne lamenta spesso nelle sue memorie la mancata attuazione, in virtù del fatto che egli avrebbe, sempre a sua detta, armato diverse formazioni clandestine a Roma e dintorni, che avrebbero dovuto aiutare il Regio Esercito nel tenere a bada la Wermacht. Di armi distribuite e organizzazioni militari clandestine agli ordini del Regio Esercito o di ufficiali di Stato Maggiore, non esistono né tracce né prove, né tantomeno Carboni fornisce dettagli e prove tangibili di questa sua iniziativa.

Mentre Castellano girava fra Spagna e Portogallo, i tedeschi fingendosi generosi alleati, dislocavano le loro divisioni nell'intera penisola per trovarsi pronti, quando sarebbe scattata l'operazione “Alarico” (che raggruppava le operazioni Quercia, Student e Asse) che prevedeva l'occupazione dell'Italia, la cattura dei membri del governo e della famiglia reale, e la restaurazione del regime fascista. Per porla in atto, però, i tedeschi avevano bisogno di una giustificazione "politica" che non poteva essere altra se non il ritorno di Mussolini a Palazzo Venezia. Ma dov'era Mussolini? Di lui, dopo l'arresto, i tedeschi non sapevano nulla, i Servizi Segreti Italiani funzionavano a dovere e come al solito molto meglio di quelli tedeschi.
Badoglio in questi giorni cruciali era in preda al panico, più che dell’armistizio si preoccupava di se stesso. Il regime si era sciolto come neve al sole, ma sembrava impossibile che i fascisti, con i tedeschi in casa pronti a dar loro una mano, restassero tranquilli in un angoletto, senza tessere losche ed oscure trame per riappropriarsi di potere, privilegi e denaro.
Chissà quanto, il neo Primo Miniatro, si sarebbe sorpreso se avesse saputo che le cose stavano proprio cosi!
Nessun ex-gerarca era disposto a muovere un dito per il vecchio padrone, e i più irriducibili erano filati in Germania in attesa che ci pensassero i tedeschi a prendere l’iniziativa!
A quel punto Badoglio non trovò di meglio che impegnare tutte le sue energie mettendo lui stesso in giro la voce di un complotto ai danni del governo e della monarchia.
Perché?
Perché informò il Re di un complotto ai danni del governo, tramite Acquarone, ministro della Real Casa?
Perché informò attraverso Bonomi i vari esponenti antifascisti?
Perché informò chi doveva informarlo, ossia il Capo della Polizia Senise e quello dei Carabinieri Cerica?
Chi lo informava?
Era il generale Carboni, da lui rimesso a capo del SIM che si prodigava a fornirgli nomi e notizie, di cui Badoglio non si preoccupava di controllare in qualche modo l’attendibilità.
Si sono fatte due ipotesi:
1) Una manovra architettata da Carboni che ambiva a prendere il posto di Badoglio, sfruttando le paure di quest’ultimo di una vendetta da parte fascista. L’ipotesi non è del tutto peregrina, nelle sue memorie Carboni non fa mistero di tali ambizioni scrivendo:”…”…Badoglio era un pavido…il Re continuava a non volerne sapere di considerare il fascismo superato…un giorno Acquarone mi fece avvertire di avere urgente necessità di parlarmi. Mi recai nel suo ufficio dove trovai il consigliere del Re ansioso e corrucciato. Mi fece sedere e con voce stanca e irritata, dichiarò:
2) Una manovra di Badoglio per conservare il posto di Primo Ministro che vedeva in serio pericolo.
La sua opera radicale d’epurazione degli elementi fascisti dalle cariche pubbliche dava fastidio al Re, che la giudicava nociva agli interessi della corona, non era elegante sbarazzarsi in fretta di uomini che aveva accettato o finto di scegliere per 20 anni. Infatti 16 agosto era giunto dal Quirinale, all’attenzione di Badoglio, un promemoria, che sembrava un ultimatum:
“L'eliminazione degli appartenenti al Partito fascista da ogni attività pubblica deve recisamente cessare. Ove il sistema iniziato perdurasse si arriverebbe all'assurdo di implicitamente giudicare e condannare
l'opera stessa del Re. Non si esclude inoltre che la maggioranza degli ex fascisti vedendosi abbandonata dal Re e perseguitata dal governo, tra non molto ricomparirà nelle piazze in difesa della borghesia per affrontare il comunismo, ma questa volta sarà decisamente orientata a sinistra e contraria alla monarchia.” (2)
Sembrava una richiesta di dimissioni, era una chiara affermazione di sfiducia del Re verso l’operato del governo, Badoglio giustificava la repressione con il complotto ai danni del Re e del governo.

E i nomi dei nuovi congiurati? Un curioso mix di nemici personali di Badoglio e di Carboni:
Ugo Cavallero, ex capo di Stato maggiore generale (nemico Badoglio e Carboni), Enzo Galbiati, ex comandante della divisione corazzata ex Littorio (nemico Badoglio), gli ex segretari del partito Achille Starace e Carlo Scorza (nemici Carboni) e ancora Giuseppe Bottai, Ubaldo Soddu, Attilio Teruzzi (nemici Badoglio).
Il capo? Ettore Muti, inviso ad entrambi, gelosi del carisma di cui sembrava ancora godere anche dopo la fine del Regime, stimato dal Re. Questa “investitura” costerà a Muti la vita.
A questo pensava Badoglio mentre Castellano trattava con gli alleati.

Cosa accadde successivamente, lo racconterò nella terza parte.


Bibliografia
1. Galeazzo Ciano – Diario 1937-1943 – Bur (1998)
2. Denis Mack Smith – I Savoia Re d’Italia – Bur (1993)
3. Cervi-Montanelli – L’Italia del Novecento – Bur – (1995)
4. Arrigo Petacco – Fucilate quel Fascista, vita spericolata di Ettore Muti – Mondatori (1990)
5. R. S. Sherwood - La seconda guerra mondiale nei documenti segreti della Casa Bianca - Garzanti (1980)
6. Antonio Spinosa – Mussolini, il fascino di un dittatore - Mondadori (1990)
7. Castellano G. – Come firmai l’armistizio di Cassibile – Mondadori (1945)
8. Carboni G. – L’armistizio e la difesa di Roma – Universale de Luigi (1945)
9. Domenico Quirico – Generali – Mondadori (2006)
10. G.Mancinelli – L’armistizio di Cassibile – Storia della Seconda Guerra Mondiale – Purnell Rizzoli (1960)

Testo italiano dei 12 punti dello “Short Armistice”.

Le seguenti condizioni di armistizio sono presentate dal generale Dwight D. Eisenhower, Generale Comandante delle Forze armate alleate, autorizzato dai Governi degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, e nell'interesse delle Nazioni Unite.

1. Immediata cessazione di ogni attività ostile da parte delle Forze Armate Italiane.
2. L'Italia farà ogni sforzo per sottrarre ai tedeschi tutti i mezzi che potrebbero essere adoperati contro le Nazioni Unite.
3. Tutti i prigionieri e gli internati delle Nazioni Unite saranno rilasciati immediatamente nelle mani del Comandante in Capo alleato e nessuno di essi dovrà essere trasferito in territorio tedesco.
4. Trasferimento immediato in quelle località che saranno designate dal Comandante in Capo alleato, della Flotta e dell'Aviazione italiane con i dettagli del disarmo che saranno fissati da lui.
5. Il Comandante in Capo alleato potrà requisire la marina mercantile italiana e usarla per le necessità del suo programma militare navale.
6. Resa immediata agli Alleati della Corsica e di tutto il territorio italiano sia delle isole che del Continente per quell'uso come basi di operazioni e per altri scopi che gli Alleati riterranno necessari.
7. Immediata garanzia del libero uso di tutti i campi di aviazione e dei porti navali in territorio italiano senza tener conto del progresso dell'evacuazione delle forze tedesche dal territorio italiano. Questi porti navali e campi di aviazione dovranno essere protetti dalle forze armate italiane finché questa funzione non sarà assunta dagli Alleati.
8. Tutte le forze armate italiane saranno richiamate e ritirate su territorio italiano da ogni partecipazione alla guerra da qualsiasi zona in cui siano attualmente impegnate.
9. Garanzia da parte del Governo italiano che, se necessario, impiegherà le sue forze armate per assicurare con celerità e precisione l'adempimento di tutte le condizioni di questo armistizio.
10. Il Comandante in Capo delle forze alleate si riserva il diritto di prendere qualsiasi provvedimento che egli riterrà necessario per proteggere gli interessi delle forze alleate per il proseguimento della guerra; e il Governo italiano s'impegna a prendere quelle misure amministrative e di altro carattere che il Comandante in Capo richiederà, e in particolare il Comandante in Capo stabilirà un Governo militare alleato su quelle parti del territorio italiano che egli giudicherà necessario nell'interesse delle Nazioni alleate.
11. Il Comandante in Capo delle forze armate alleate avrà il pieno diritto d'imporre misure di disarmo, smobilitazione e demilitarizzazione.
12. Altre condizioni di carattere politico, economico e finanziario a cui l'Italia dovrà conformarsi saranno trasmesse più tardi.

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