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Il modellismo: arte, storia, cultura o puro divertimento?
Argomento: Generale : Articoli Data: 19/4/2004
Di certo un po’ di tutto, e non solo.Il modellismo intanto è una voglia particolare: possedere in miniatura o in scala riproduzioni di ciò che senz’altro ci appassiona, aderente al vero nella misura massima possibile. Con una peculiarità: farselo da soli.


Acquistare riproduzioni già belle e fatte, qualsiasi sia il genere, mezzi militari, trenini, automobili ecc. è semplice collezionismo. Il modellismo al contrario è attività creativa o con auto costruzione o con assemblaggio di parti già predisposte. Seguirà poi la colorazione, che è la fase più importante e delicata della costruzione stessa. Ognuno secondo le proprie capacità. Di certo un modello ben costruito ma male colorato, fa poco o nessun effetto.
Nel vasto campo di questa attività il lato militare è assolutamente preponderante e permette secondo le varie preferenze la possibilità di sbizzarrirsi in settori diversi: navale, terrestre ed aereo.
Un connotato che si coglie nella maggior parte dei modellisti è una sorta di specializzazione; di massima si privilegia uno solo o prevalentemente uno solo dei tre settori. Chi scrive è soprattutto un “terrestre” con preferenze carriste senza disdegnare la “Regia Aeronautica” data la vita paterna dedicata a quest’ultima.
Ora si dirà, ma il modellismo è tutto lì? Costruire e colorare?
Assolutamente no. La cosa è più complicata.

Come ho già detto, ognuno con le proprie capacità, che si affinano col tempo, avendo la voglia di continuare, lo spazio per fare, custodire in mostra e soprattutto, nota dolente, spendere non sempre poco denaro. E ancora non basta, come vedremo.
Ciò premesso mi soffermerò sul modellismo maturo, che comporta livelli di particolare soddisfazione ad “opera” conclusa. Sinora ho parlato di costruire e colorare, ma il modellismo militare non è solo questo.
Non dico cosa inesatta circa la cognizione storica che deve avere e di norma ha un modellista sperimentato: momenti, modalità, terreni di impiego nei vari fronti e quindi varie mimetizzazioni, araldica ecc. Nel mio caso i mezzi corazzati.
E se questo è vero come è vero, tali specifiche conoscenze non sono spesso semplici nozioni a se stanti, ma corollario di una più vasta conoscenza della storia in generale. La storia militare è un po’ trascurata dagli storici tradizionali che analizzano fenomeni da un’ottica filosofica, sociologica, economico – politica. Tuttavia in questi ultimi cinquant’anni questa parte della storia, di norma appannaggio nel passato di pochi esperti, in gran parte militari essi stessi, ha trovato una propria collocazione ed una sistematica di studio che comprende ormai autori specializzati che sempre più spesso provengono solo dall’area civile. Opere di questo tipo sono reperibili con non poco interesse, da un pubblico sempre più vasto.

Cultori di storia militare sono soprattutto inglesi, americani, francesi ed un po’ anche noi. Gli esperti di tale materia o settore particolare in molti casi sono analisti di pregio e collaborano con gli organi istituzionali, per definire al meglio gli indirizzi di politica militare dei vari governi. Gli Stati Uniti hanno dato l’impulso massimo alla materia, riproponendo una scienza abbandonata per molti anni, perché a torto da ultimo ritenuta “nazista”: la geopolitica. La somma di tutte le conoscenze possibili in campo economico, politico, religioso, culturale e militare, avuto riguardo alla collocazione geografica, finalizzato ad un solo scopo che può apparire immorale, ma tale non è perché questa è la storia del mondo e non può essere cambiata: mantenere o acquisire la supremazia anche con uso della forza, quando altri strumenti non servono più.

Un po’ quello che sta accadendo oggi con il fondamentalismo islamico, peccato che se ne siano accorti tardi. Perdonate la digressione e soprattutto non vorrei aver generato un errore di valutazione facendovi ritenere che i modellisti sono anche esperti di storia militare o geopolitica. Esperti forse no, ma appassionati senz’altro. Basta parlare con qualcuno di loro per verificare questo dato: vi snocciolano senza tentennamenti conoscenze che sembrerebbero appannaggio esclusivo di militari i quali, sia detto senza iattanza, a volte ad onor del vero ne sanno meno di noi su argomenti così specifici. Una volta mi sorpresi entrando al museo della motorizzazione alla Cecchignola a Roma (molti anni fa) nel vedere quanti mezzi vi erano custoditi in pessime condizioni, non solo oggettive, ma anche cromatiche.

Basti pensare che vi era un Quad inglese per il trasporto del pezzo da 25 pdm., riverniciato con chiazze mimetiche, che mai aveva avuto, e soprattutto con mano grossolana.
C’era poi una bella blindo AB 41, verniciata in modo inverecondo, che veniva spacciata per AB 43. Vai a dire che si trattava del modello precedente. Il sottufficiale che mi accompagnava, in buona fede, era pronto a scommettere che mi stavo sbagliando e mi mostrò il libretto ”uso e manutenzione del mezzo”, risalente all’epoca, puntando il dito sull’intestazione che recava appunto AB 43. Bastò scorrere il primo foglio per leggere quanto riportato da un solerte e puntiglioso scrivano del tempo, che così vergava: “ …le manutenzioni che qui di seguito si riportano sono pertinenti ad una AB mod. 41, trascritte sul presente per AB 43, non essendo in atto reperibili libretti di manutenzione per il modello precedente…”. Ci ridemmo sopra ambedue. Ma in fondo, era un segno impercettibile di quanto poco tenessimo alla nostra memoria militare, e non certo per colpa di una banale svista di un sottufficiale.
Detto questo il modellismo militare, non può essere praticato ad un certo livello, se non si conoscono con precisione certi particolari. Soprattutto un modello errato nell’araldica, viene scartato da qualunque mostra di rispetto ed anche dall’esposizione in vetrine di negozi del settore.
Per araldica si intendono, tutti i simboli, numerici, di reparto ecc. che contrassegnano un aereo, un carro ecc., di un certo tipo, un certo periodo, un certo fronte. Tanto per capirci, su un Pz.Kpfw. VI° Ausf J non si possono applicare colorazioni o simboli di un Pz.Kpfw.I° per il semplice motivo che il primo venne prodotto nel giugno del 1944, l’altro dal luglio 1934 ed operò sino al 1942, quando fu destinato a compiti secondari. Quindi colori diversi, simboli di reparto diversi. Si pensi che la stessa Panzerdivisionen, poteva cambiare il proprio simbolo divisionale, più volte. Idem per la numerazione identificativa dei propri mezzi corazzati. Sempre rimanendo in ambito tedesco, all’inizio del conflitto la numerazione non era tenuta in conto e fu codificata nel 1941. I numeri della torretta, di solito tre, si leggono così: il primo è il numero della compagnia, il secondo di plotone, il terzo il numero del carro in ambito del plotone. I simboli tattici erano importantissimi. Il loro uso permetteva a prima vista di stabilire il tipo, la divisione ed il ruolo nella stessa di qualunque mezzo, dal carro al semicingolato, alla moto. Gli inglesi avevano un altro tipo di araldica, meno pignola. Non avevano il simbolo tattico come inteso dai tedeschi. I simboli divisionali erano contraddistinti da numeri ed emblemi (badges). Sui carri inglesi compariva sempre un nome di “battesimo”, fenomeno minimo invece in quelli tedeschi, mentre i francesi portavano su tutti i carri, nomi di città o di generali o di luoghi di battaglie. Gli italiani avevano dei motti. La scudatura del pezzo della torretta del LI Btg. Della “Littorio” recava la scritta “A colpo sicuro”.

Anche sui nostri carri comparivano emblemi (Ariete, Centauro, Littorio) e contrassegni tattici per verificare a prima vista, compagnia, plotone, posizione del carro, divisione di appartenenza.
Ma le note dolenti vengono con la colorazione. Da subito comincio col dire che chi usa il pennello per la colorazione, a meno di non chiamarsi Giotto o Raffaello, non otterrà mai, dico mai, un risultato anche minimamente apprezzabile. Per le colorazioni di un carro o di un aereo occorre l’aerografo, attivato di pressione d’aria di un compressore. Meglio non addentrarci sulle tecniche perché esulerebbe dal tema. Ma una cosa va detta: la colorazione è la fase più importante del compimento di un modello. E per colorazione non si intende per nulla stendere una mano di vernice. Come si dice qui, a Roma, si otterrebbe solo il classico “sercio”. Vale a dire che una colorazione omogenea equivale ad un vero e proprio mattone. Si deve invece dare corpo al così detto “realismo cromatico”. Intanto il colore deve prendere profondità e quindi occorre tono su tono scomporre l’uniformità; quindi si può procedere “all’invecchiamento”. Un carro nuovo di zecca è una cosa e di solito non interessa un modellista, un carro operativo reca su di se i segni dell’usura, ed è assolutamente un’altra cosa. Insomma se si vuol realizzare un modello, oggetto di un minimo di attenzione, questo deve essere rappresentato nella sua fase operativa. Occorre quindi ingegnarsi per riprodurre l’invecchiamento che prende corpo tramite tecniche, talvolta casuali o improvvisate, che rende l’idea di come si presentava un carro dopo un certo periodo di attività in un particolare teatro operativo. Non solo il colore va per così dire “spezzato”, ma occorre saper riprodurre macchie di grasso, vernice consumata, ruggine, scolature di liquidi vari ecc. Sempre tramite reiterate fasi di colorazione, con uso anche di polveri e colori ad olio, diluiti al punto giusto. Il tutto in relazione ad un punto luce, che normalmente viene dall’alto verso il basso. Il fascio di luce è importantissimo per attuare le così dette ombreggiature e lumeggiature, che danno al carro nel suo insieme la “profondità”, apprezzabile a lavoro compiuto con la stessa luce sotto la quale si è proceduto. Tutti gli spigoli del carro vanno lumeggiati (esaltati in chiaro) o ombreggiati (in scuro) tenendo conto appunto della luce. Soffermatevi ad osservare un’auto sotto il sole; a ben vedere noterete differenze cromatiche a seconda della sua posizione rispetto alla luce azimutale. È questo ciò di cui occorre tener conto durante la colorazione. Ed infine, la colorazione presuppone la riproduzione delle diverse mimetiche. Il che è un bel problema, soprattutto per alcune: italiane, quella continentale del 1943, su blindo e carri P 40, che fa letteralmente impazzire prima di raggiungere un risultato che superi la sufficienza. Anche le mimetiche giapponesi non scherzano.

Appunto per questa sua caratterizzazione, il modellista storce facilmente il naso quando va al cinema per un film di argomento bellico. In questi film di solito se ne vedono di tutti i colori. Il fatto è che mentre si può disporre ancora dei mezzi alleati, quelli germanici in realtà o sono riprodotti alla bell’è meglio oppure occorre camuffare un mezzo qualunque come fosse tedesco. Ma la gran massa degli spettatori, ovviamente, non si accorge di nulla.
Il più bel film che ho visto, in tal senso, è “Salvate il soldato Ryan”, dove tutto, dalle armi, alle uniformi ed ai mezzi era praticamente perfetto. Quando ho visto i carri “Tigre” sono rimasto di sasso. Sembravano proprio veri, ma più piccoli della realtà. Con una osservazione più attenta, mi sono reso conto che si trattava di una struttura diciamo preconfezionata, poggiata sullo scafo di un T 34 sovietico. Chiaramente non poteva essere che più piccolo poiché il T 34 è di dimensioni minori del Tigre. L’arcano si è disgelato osservando i cingoli e le ruote chiaramente del carro russo.
Tutto sommato, non potendo avere di meglio, andava bene anche così per rendere un po’ l’idea ad uno di noi.
Faccio grazia di certe turpitudini che ci vengono ammannite in altri film più recenti. Pregevoli sotto questo profilo, anche “Tora Tora Tora” e “La battaglia delle Midway”, di diversi anni addietro.

Quando si è finito un modello lo si guarda quasi come si guarderebbe un figlio. Dopo ore di “lavoro” non ci si sente stanchi ma rilassati, appagati e sereni: ci siamo divertiti. Un politico importante e fondamentale degli anni 80 una volta ebbe a dirmi: “…..quando so che a breve dovrò affrontare delle problematiche importanti e forse decisive, mi sento nervoso e non riesco a distrarmi con un libro, con una passeggiata o con un sonno. La mia mente continua a muoversi sul problema e non riposo. Mi siedo al tavolo e costruisco un modello, non mi accorgo del passare del tempo e dopo ore mi alzo riposato pronto all’imminente “combattimento….”
Quindi, dando la misura del fenomeno, posso concludere che il modellismo militare è un po’ arte, un po’ cultura e divertimento. Certamente storia, poiché per molti di noi la realizzazione di un modello vale a dire anche interpretazione in qualche modo di un segmento della storia. Certamente soddisfazione maggiore quando si realizzano modelli di mezzi appartenenti al nostro Esercito, con un sentimento che non saprei definire bene, perché può anche sembrare strano in relazione ad un atto così piccolo, ma senz’altro di ricordo e di omaggio per quanti su questi mezzi combatterono e caddero per adempiere al loro dovere.
Uno di quei sentimenti senza dubbio obsoleti di questi tempi.

Maurizio Bartoli

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