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Storia : Moderna : Dal Luglio al Settembre del 1943 - Parte Prima
Inviato da Giulio_Gobbi il 2/2/2007 19:02:20 (2630 letture)

Storia : Moderna
Luglio: Mussolini se ne deve andare
La Roma del mese di Luglio, soprattutto se fa molto caldo, è una città pigra, indolente, oppressa dall’afa. Si pensa alle vacanze imminenti, l’obiettivo di quei giorni sembra essere: “…parliamone a Settembre…”.


Nel Luglio del 1943, la situazione era quella descritta sopra, caldo e afa, ma poi gli eventi fecero dimenticare il caldo. Cosa poteva accadere, in quell’afoso Luglio 1943 di tanto importante da far passare in secondo piano il caldo?
E’ il 12 Luglio, diamo una veloce occhiata a due giornali, uno italiano ed uno estero.
Il titolo della ‘Gazzetta del Popolo’ riporta:
“Il popolo Italiano esprime in imponenti adunate la sua ferrea decisione di combattere fino alla vittoria”, e subito sotto “accanite battaglie sulla costa della Sicilia” ed ancora “Granitica fermezza di Torino di fronte al nemico” (1) (con foto d’adunata).
Il ‘News Chronicle’ dello stesso giorno, spara un solo titolo:
“Sicily: Airfields and 100 miles of coast taken. Advance troops push into the hills, navy lands thousand more, Italian and German heavy losses, Allied casualties light”. (Sicilia: presi aeroporti e 100 miglia di costa. Truppe avanzano verso l’interno, la Marina sbarca migliaia di soldati, gravi perdite Italiane e Tedesche, lievi perdite Alleate.) (1)
Sono i titoli che divulgano la notizia, da una parte e dall’altra, dello sbarco alleato in Sicilia, l’operazione “Husky”. Crollava il miraggio dell’inviolabilità del suolo nazionale, veniva sbugiardata una volta di più la propaganda del regime fascista, che un mese prima la garantiva.
Fino a sabato 24 Luglio 1943, la stampa italiana continuerà a proporre titoli che raccontano fermezza di fronte al nemico ed adunate oceaniche, la stampa estera sarà di diverso avviso, e racconterà in tono trionfalistico, gli sbarchi e la caduta della Sicilia.
Il Messaggero di quel Sabato è stranamente “frivolo”, nella prima pagina un piccolo cenno a quello che sta accadendo al fronte, maggior risalto invece, allo spettacolo di Mario Del Monaco al Teatro Brancaccio e alla prima di “Signorinella” al cinema Eden, nessun accenno al fatto che per le 17.00 di quel giorno, a Palazzo Venezia, sia stato convocato il Gran Consiglio del Fascismo. L’ultimo era stato convocato 4 anni prima, si trattava di un evento politico di rilievo assoluto, ma fu ignorato dalla stampa, o forse non fu “permessa” la notizia.

In quei giorni, il clima che regnava a Palazzo Venezia non era quello baldanzoso e trionfalistico di qualche anno prima, c’era rancore ovunque: verso Mussolini che aveva voluto la guerra, verso i politici che non avevano avuto il coraggio di dirgli di “no”, verso i Gerarchi che avevano fatto “finta di non capire”, verso i Generali che avevano pensato solo alle loro carriere, verso la macchina propagandistica del partito che continuava imperterrita a marciare, negando l’evidenza.
Stranamente, da quella tempesta, sembrava aver trovato scampo l’altra figura politica nazionale italiana di rilievo assoluto, il Re d’Italia, Vittorio Emanuele III.
Avverso da sempre alla Germania ed alla guerra al fianco di essa, aveva però assecondato Mussolini quando, nel Maggio del 1940, aveva trascinato l’Italia nel conflitto.
Ora, si era convinto che doveva, e non tanto per il bene della nazione ma quanto per salvare la sua dinastia, uscire dalla guerra.
Per uscire dalla guerra ed ottenere una pace separata dagli alleati, dovevano però esistere tre condizioni irrinunciabili: sbarazzarsi di Mussolini, del regime fascista e dei soldati tedeschi presenti in Italia.
Tutte cose non semplici da realizzare, ma egli era certo che eliminando Mussolini, il regime sarebbe perito con lui, togliere di mezzo Mussolini era la prima cosa da fare.
A Palazzo, coesistevano due “linee politiche” ognuna delle quali ignorava o faceva finta di ignorare l’altra: quella ufficiale del Regime, allineata con la Germania fino in fondo, e quella “moderata” che voleva la pace con gli alleati e salvare il salvabile.
I moderati, tramavano per deporre Mussolini, ma erano divisi in tre fazioni. Questi gruppi di “congiurati” agivano in modo completamente indipendente uno dall’altro ed ignoravano l’esistenza di altre manovre, avevano in comune solo la visione del “colpo di stato legalitario” come soluzione al “problema Mussolini”.
“Colpo di stato legalitario” sembra un parolone assurdo, ma di assurdità, bizantinismi e acrobatici voltafaccia, nei giorni che seguiranno ce ne saranno parecchi.
C’era la fazione “politica”, composta per lo più gerarchi disamorati del regime ed ex politici pre-fascisti. La fazione “militare” era composta da alti ufficiali soprattutto dell’Esercito, che credevano in un colpo di stato militare, La fazione “monarchica” era composta da ministri vicini al Re che pensavano più alle sorti della monarchia che al resto.
Esisteva però un “punto focale”, il Re. Era l’unico a conoscenza delle “trame” di tutte le fazioni, e tutti vi facevano riferimento.

Vittorio Emanuele III era un uomo mite, per niente marziale, con un fisico sgraziato ed un carattere contorto, palesemente a disagio nei contatti umani (preferiva parlare per interposta persona), mancava totalmente di iniziativa personale e cercava sempre di sfruttare gli eventi a suo uso e consumo. Non avrebbe mai scelto la violenza per eliminare una persona a lui sgradita, pure se c’era di mezzo il futuro dei suoi sudditi, gli premeva molto invece, quello della sua dinastia.
Già nel marzo del 1940, egli progettava di destituire Benito Mussolini e mettere a capo del governo il di lui genero, Galeazzo Ciano, allora stimato ministro degli esteri, ritenuto un fascista moderato, fedele monarchico e soprattutto convinto anti-tedesco. Egli cercò di convincere Ciano a tentare un “colpo di stato morbido”, attraverso una serie di colloqui personali e di “casuali” incontri con il Conte Pietro Acquarone, ministro della Real Casa. Ciano doveva farsi promotore di una richiesta di convocazione urgente del Gran Consiglio del Fascismo, con all’Ordine del Giorno le dimissioni di Mussolini da capo del Governo, e consentire così al Re di “cacciarlo”.
Di tali colloqui nei Diari di Ciano esiste traccia.
Il 5 Marzo 1940 si legge:
“…io di sicuro sono nel libro nero della Germania – mi ha detto. – Si Maestà, al primo posto, ed io sono subito dopo di voi – gli ho risposto – Lo vedo anche io ma ciò onora entrambi nei confronti dell’Italia. …- non ho esitato a dirgli che una vittoria tedesca sarebbe un grande disastro per il nostro paese. Mi ha domandato cosa potremmo ottenere dagli alleati - Salvare la libertà dell’Italia Maestà, una vittoria tedesca ci renderebbe schiavi nei secoli -. Era d’accordo…”(2)
Il 14 Marzo 1940:
“Al Golf mi avvicina il Conte Acquarone, Ministro della Real Casa. Parla apertamente della situazione in termini preoccupati, e assicura che anche sua Maestà il Re è al corrente del disagio che perturba il paese. A suo dire, sua Maestà sente che da un momento all’altro si presenterà la necessità per lui di intervenire per dare una diversa piega alle cose; è pronto a farlo con la più netta energia. Acquarone ripete che verso di me il Re ha “ un vero affetto e molta fiducia “. Acquarone voleva portare oltre il discorso, ma io mi sono tenuto sulle generali…”(2)
Non se ne fece nulla, in virtù delle titubanze di Ciano, che sia pure non volendo la guerra e detestando profondamente “…la cafonaggine e l’arroganza dei tedeschi….”, temeva il suocero oltremisura.

Nel Marzo di tre anni dopo Vittorio Emanuele III preparava un nuovo piano, incalzato dagli avvenimenti, dal malcontento popolare, dalla disperata situazione militare e soprattutto dagli scioperi nelle fabbriche del Nord, nei quali vedeva una forte minaccia comunista.
E’ probabile che rimuginasse dentro di se una frase di Crispi, che l’Ammiraglio Baistrocchi gli aveva ricordato durante una sua visita al Quirinale: “…un Re, anche costituzionalmente irresponsabile, non può sfuggire alla responsabilità morale di quanto viene fatto in suo nome…” (3)
Era troppo, anche per un Re titubante come Vittorio Emanuele III, alla sua maniera, cercò chi potesse agire per lui.
In quel mese di Luglio, erano cambiati parecchi nomi nelle alte sfere militari e dell’ordine pubblico, settori vitali di cui qualsiasi “cospiratore” che si rispetti, deve avere il controllo per una buona riuscita dei suoi piani.
Il prefetto Chierici, che aveva preso il posto di Senise come capo della polizia era un fascista convinto, fedele a Mussolini. Il Re ritenne di dover tenere fuori Chierici da ogni tipo di informazione politica e di rimettere Senise, monarchico, al più presto al suo posto.
Agli Esteri, c’era Bastianini, successore di Ciano, che ignorava sistematicamente le direttive di Mussolini per eseguire quelle suggerite dal Re.
Il Generale Ambrosio divenne Capo di Stato Maggiore al posto di Cavallero, non brillante ma considerato soldato di ferro, aveva capito che la guerra era perduta e che Mussolini doveva dimettersi. Adducendo di voler di risparmiare all’Italia il disonore e le distruzioni di un’invasione alleata, parlò apertamente al Re, asserendo di poter organizzare un colpo di stato militare. Ambrosio lavorava come un pazzo su due fronti: spergiurava Mussolini che l’esercito era stato da lui forgiato per combattere all’ultimo sangue sul territorio nazionale, organizzava nel frattempo il primo e unico sciopero militare nella storia di tutti gli eserciti. In Sicilia diversi reparti, soprattutto quelli delle divisioni costiere che erano costituite sulla base di arruolamento locale, si arrenderanno senza combattere, grazie soprattutto alla sua opera indottrinatrice.
Ambrosio era affiancato da due “giovani” generali, Castellano e Carboni.
Il generale Castellano, cinquantenne, era stato il più giovane generale dell’esercito. Siciliano, gran parlatore, più un diplomatico che un militare, era la controparte di Ambrosio, di lui parleremo ampiamente in seguito.
Il generale Carboni era più noto per le sua abilità carrieristica che non per le virtù militari. Era a capo del Corpo Motocorazzato, composto da quattro Divisioni, preposto alla difesa di Roma. Opportunista, machiavellico e infido, teso più verso il suo tornaconto personale che verso l’amor patrio, congiurato di bassa lega, era stato però direttore del SIM (Servizio Informazioni Militari), e aveva messo da parte dei voluminosi dossier su vizi, amorazzi e intrighi vari di quasi tutta la nomenclatura fascista e la corte diretta di Mussolini. Questi dossier potevano far comodo. Inoltre era a capo delle truppe assegnate alla difesa di Roma e questo incarico gli permetteva di essere autorizzato a ricevere ordini direttamente dal Re o da Ambrosio, senza passare per Mussolini.
Il generale Hazon, altro fedele monarchico, fu messo a capo dell’Arma dei Carabinieri. La sua prima iniziativa fu quella di prepararsi all’eventualità di arrestare Mussolini e pianificò con cura la scelta degli uomini e degli ufficiali da preporre allo scopo oltre ai dettagli operativi dell’azione. Quando, il 19 luglio, Hazon rimase ucciso nel bombardamento di San Lorenzo, il generale Cerica, scelto da Castellano, fu chiamato a succedergli. Monarchico anche lui, poteva però non essere dell’ordine di idee di Hazon. Castellano racconta che nel colloquio che ebbe con Cerica prima di insediarlo, gli chiese:
“… sei rimasto nello stesso ordine di idee di qualche mese fa, quando mi pregasti di dire al Re che eri pronto ad obbedire a qualsiasi ordine?” Cerica mi rispose: “Ciò che mi si chiederà di fare è legale o illegale?” io dissi: “Saranno ordini del Re.” “A completa disposizione di Sua Maestà” fu la secca risposta di Cerica. (10)

La fiducia di questi ufficiali era mal riposta, il Re riferiva tutte “le voci di complotto militare” a Mussolini il quale non se ne curava ne allarmava più di tanto.
Giustificava questo comportamento a dir poco cinico asserendo che Mussolini era ancora molto popolare, eppure sapeva benissimo che gli applausi di Piazza Venezia erano ormai una gigantesca farsa, aspettava un “movimento forte dell’opinione pubblica” oppure “una spaccatura interna del partito”, insomma un fatto esterno che lo costringesse ad agire senza che si potesse addossare a lui la responsabilità delle azioni compiute.
Non posso esprimere un giudizio su questo modo di fare. Alcuni storici lo hanno interpretato come debolezza, altri come sottile astuzia, nel senso che il Re scopriva il complotto “militare” per coprire quello “politico” che stava preparando e che gli dava più fiducia. Io faccio notare che non c’era tempo da perdere e invece se ne perdeva a bizzeffe. I soldati italiani al fronte intanto morivano.

In Aprile, il Re, ebbe una serie ininterrotta di colloqui privati: Pietro Acquarone, vecchi senatori pre-fascisti come Bonomi, Orlando, Soleri, Einaudi, militari come Badoglio (se vogliamo definire Badoglio militare), funzionari di partito “moderati” come Ciano. Tutti asserivano che per salvare l’Italia bisognava far finire subito la guerra, liberarsi di Mussolini, assumere la guida della nazione e chiedere l’armistizio agli alleati. Ma il debole monarca italiano, non avrebbe mai preso iniziative così coraggiose.

In Maggio il Re ebbe colloqui con Monsignor Montini (futuro Papa Paolo VI), di nuovo Ambrosio e Bonomi, l’ultimo primo ministro prima dell’avvento di Mussolini.
Il 15 dello stesso mese trovò, chissà come, il coraggio di scrivere una nota a Mussolini in cui chiedeva di prendere in considerazione un ritorno alla neutralità pre-bellica, vi si leggeva: “…bisognerebbe pensare molto seriamente alla possibile necessità di sganciare le sorti dell'Italia da quelle della Germania…"(6).

Il Vaticano stava in un certo senso alla finestra, ma i realtà esercitava un ruolo attivo. La missione di Monsignor Montini era servita a chiarire al Re, che se voleva un intervento di mediazione da parte Pontificia presso gli alleati, il merito di aver salvato l’Italia dalle distruzioni della guerra avrebbe dovuto essere solo ed esclusivamente del Papa, Pio XII.
Lo stesso Pontefice disprezzava profondamente il Re, lo definiva come “…debole, indeciso, troppo deferente verso Mussolini…”(3) (, tuttavia quando gli americani chiesero al Papa quale forma di governo sarebbe stato meglio instaurare dopo la fine della guerra, egli non ebbe dubbi nell’indicare la Monarchia e nel raccomandarsi di lasciare al suo posto Vittorio Emanuele III.
Era preferibile la certezza di una monarchia debole ma cattolica ad un probabile governo comunista.

Il 3 Giugno Dino Grandi, presidente della potente “Camera dei Fasci e delle Corporazioni”,fu ricevuto dal Re. egli espose un'idea che poteva sembrare pazzesca ma che forse, era l’unica via di uscita:
più volte gli alleati avevano lasciato capire che la loro era una guerra contro il fascismo e non contro l’Italia, sbarazzarsi del regime e dichiarare guerra alla Germania, sembrava la soluzione che avrebbe permesso, nelle speranze del Re e dei gerarchi, di sedersi a guerra finita se non al tavolo dei vincitori, nello sgabello vicino, evitando la tavolata degli sconfitti, anche se il paese sarebbe diventato un campo di battaglia.
Il Re rispose che Grandi doveva mettere da parte “il vostro ottimismo giornalistico…Io sono un Re costituzionale, e mi rendo anche perfettamente conto che il parlamento non è in grado di funzionare…ciononostante attendo qualche indicazione che venga dagli organi dello stato in modo inequivocabile e certo……”(8)
Grandi fu li per lì scoraggiato dal risultato del colloquio, ma poi si rese conto che in realtà con il suo solito fare indiretto, il Re gli stava chiedendo un “pretesto costituzionale” per intervenire, lui doveva dare il segnale che il Re aspettava.

Fascista della primissima ora, Grandi aveva nei confronti di Mussolini, un rapporto che nel corso degli anni era passato, come accaduto per altri gerarchi, dalla devozione totale al disprezzo assoluto.
Il risultato fu che entrambi non si fidassero l’uno dell’altro.
Dino Grandi, avvocato bolognese, monarchico convinto, aveva 48 anni nel Luglio del 1943. Fascista della prima ora era passato dalle posizioni più estreme a quelle moderate nel corso degli anni, accumulando come tanti altri, denaro e potere assecondando Mussolini. Nominato prima della guerra Ministro degli esteri e poi Ambasciatore presso la Gran Bretagna, incarico che ricoprì per sette anni, era considerato un bell’uomo, colto, elegante, mondano, sposato con una donna ricca e bellissima. Gran parte delle simpatie politiche prebelliche inglesi verso il Fascismo sono merito suo, il suo prestigio all’estero infastidiva non poco Mussolini.
Parlava l’inglese molto bene, stimatissimo negli ambienti politici americani ed anglosassoni di prima della guerra, non temeva il confronto diretto con Mussolini, anzi riusciva a tranquillamente a tenergli testa, insieme a Ciano, Muti e Balbo era uno dei pochi che osasse dargli del “tu”.
Allo scoppio della guerra pur osteggiandola in modo silenzioso come tanti altri (Balbo, Ciano, Bottai) assecondò gli eventi. Nei suoi memoriali, racconta che scrisse la prima bozza del famoso OdG nel Gennaio del 1941, quando sul fronte greco, toccò con mano la realtà della macchina bellica italiana. Lo tenne in tasca perfezionandolo fino al 24 Luglio 1943.

Era Grandi l’uomo che il Re cercava, l’unico fino a quel momento, che avesse manifestato il desiderio di agire sul piano politico senza ricorrere all’uso della forza. Grandi era il leader politico naturale del “colpo di stato legalitario”, come il Re amava definire l’azione, che gli avrebbe ridato il controllo della nazione e delle forze armate.
Bisognava ora solo convocare il Gran Consiglio, tutt’altro che semplice.

Il 17 giugno Washington faceva pervenire al Re, tramite Pio XII e quindi Monsignor Montini, una nota minacciosa: se non avesse provveduto subito a sbarazzarsi di Mussolini, ed a rompere l’alleanza con la Germania, a guerra finita per lui e per la sua dinastia non ci sarebbe stato alcun riguardo.

Il 19 giugno accadde un fatto politicamente nuovo: durante quello che fu l’ultimo Consiglio dei Ministri diretto da Mussolini, il Ministro delle comunicazioni Cini, appena insediato dopo il rimpasto dell’Aprile precedente, attaccò l’operato di Mussolini con violenza. Il Cini asserì che negli ultimi tre anni egli era stato sempre sorpreso e frastornato dagli avvenimenti, con scarse capacità di reazione, succube dei voleri di Hitler. De Marsico ministro della Giustizia, rincarò la dose asserendo che “...il Popolo Italiano non ha il dovere di suicidarsi…” In una dittatura che si rispetti, Cini e De Marsico avrebbero pagato l’intervento con la testa, Mussolini rispose con il solito slogan ormai vuoto: “Vincere con la Germania o cadere al suo fianco!”

Il 24 giugno, Mussolini tenne il famoso discorso ‘del bagnasciuga’. A parte la promessa che nessun soldato straniero avrebbe messo piede in Italia, e la comica topica presente in esso che fece sorridere tutti i marinai della Regia Marina e d’Italia (confuse la battigia con il bagnasciuga), esso fu importante perché spinse Grandi ad affrettare i tempi. Egli convocò subito privatamente nel suo ufficio in due tempi nello stesso pomeriggio prima Badoglio e Acquarone, poi Ciano, Federzoni, Muti e Bottai. Informò tutti circa il suo colloquio con il Re del 3 giugno, e lesse il famoso ordine del giorno che si accingeva a presentare alla prima occasione in cui si sarebbe riunito il Gran Consiglio del fascismo. Ascoltò le loro reazioni uno alla volta, dopo aver ricevuto consensi ed elogi da parte di tutti, il focoso Muti fece un pittoresco commento in dialetto romagnolo, tipico del suo carattere: "Voi mi fate ridere con i vostri ordini del giorno bizantini. Se volete, risolvo io la questione rapidamente e il Duce ve lo faccio fuori questa sera: a l'amazz’ me!” (5)

Il 27 giugno Farinacci informò Mussolini e l’ambasciatore tedesco Von Mackesen che era in atto un complotto contro il regime, fornendo anche la lista dei nomi esatta: Grandi, Muti, Bottai, Ciano, Federzoni e Badoglio. Mussolini lo ignorò completamente, pensando che fosse una delle solite sparate da gerarca in cerca di gloria, altrettanto fece l’ambasciatore tedesco.

Il 10 luglio, l’inizio dell’operazione Husky, portò in maniera brutale il Re a dover stringere i tempi, ormai sapeva che la corona era perduta (l’ammonimento americano era stato molto chiaro), cercò di salvare il salvabile.
Esemplare sullo stato d’animo di quei giorni, questo telegramma inviato a Hitler da Von Ritelen addetto militare tedesco in Italia, dall’ambasciata di Germania a Roma: “speranze tenere Sicilia nulle stop non producente inviare nuove truppe stop ambienti militari svaniti stop popolazione costernata stop.” (4)

Il 14 luglio, Alfieri ambasciatore a Berlino, scriveva a Bastianini: “Viene a ripresentarsi, con drammatica attualità, il quesito che ho già lumeggiato in alcuni miei precedenti rapporti: fino a quando l'Italia stremata di forze ed attaccata da tutte le parti potrà accompagnare e seguire l'alleata Germania nel suo cammino di resistenza che si delinea prolungato nel tempo?” (4)
Nella stessa giornata, Hazon fa scattare la prima parte del piano per l’arresto di Mussolini, l’ordine arriva da Ambrosio, mobilita i 50 carabinieri scelti.

Bastianini il 17 luglio si rivolse al cardinale Maglione, con un biglietto e la preghiera di inoltrarlo al Papa, il testo è sventato:
“Qualora la situazione militare in Italia dovesse ancora peggiorare, la sola persona in grado di convincere Hitler a far abbandonare il territorio italiano dalle truppe tedesche è il Duce. Di qui la necessità che l'Inghilterra e l'America non pongano la pregiudiziale immediata dell'allontanamento del Duce e ciò nel loro stesso evidente interesse… l'Italia ha una sua particolare posizione nella regione danubiana-balcanica di cui gli avversari debbono tener conto…”.(6)
Sventato per due motivi:
Primo, era una ammissione di incapacità di reazione militare. Secondo, l’Italia non era in grado di richiedere attenzioni di natura politica da parte degli alleati. Il risultato della conferenza di Casablanca tenutasi pochi mesi era stato molto chiaro: l’unica scelta concessaci dagli alleati era la resa senza condizioni.

Il 19 luglio ci fu un incontro fra Mussolini e Hitler a Feltre. Mussolini disse al Re che avrebbe persuaso Hitler a lasciar uscire l’Italia dal conflitto, che sapeva tenergli testa. Fu invece una debacle totale. Hitler tenne banco per tre ore, e Mussolini era ammutolito e passivo. Come sempre avveniva, simili colloqui si svolgevano sempre in tedesco e senza interpreti, secondo l'ostinato volere del capo italiano. Mussolini tacque anche quando Hitler gli annunciò che una potentissima ‘arma segreta’ stava per entrare in azione, arma che avrebbe cambiato le sorti della guerra. Erano presenti al colloquio Bastianini, Ambrosio ed Alfieri, tutti e tre ebbero la sensazione che Mussolini fosse politicamente ed umanamente un uomo finito. Durante il pranzo, Mussolini fu raggiunto dalla notizia del bombardamento dello scalo merci di S.Lorenzo, interruppe il monologo del dittatore tedesco e tornò a Roma con la coda in mezzo alle gambe.

Il 20 luglio quasi tutti i gerarchi erano a Roma. Scorza aveva organizzato una serie di comizi e di adunate “oceaniche”. Il gruppo dei “congiurati”, assenti Grandi e Muti, fece in modo di ‘farsi convocare’ da Scorza a Palazzo Littorio riuscendo a parlare direttamente con Mussolini.
Bottai, portavoce del gruppo, ha annotato nei suoi diari con grande chiarezza l’incontro, arrivando addirittura a descrivere i particolari dell’arredo della stanza e della scrivania di Mussolini. Egli scrive”... dalla Sicilia si avevano altre notizie gravissime. La base di Augusta era stata abbandonata senza combattere, e al nemico era aperta la via di Catania dove però si resisteva e dove si erano nascosti gruppi di marinai fuggitivi. Si diceva che a Roma fossero nottetempo arrivati dall'isola alcuni aviatori in mutande…”(7)
Bottai, sostenne apertamente l'esigenza di convocare il Gran consiglio per dare al paese "…un comando non meramente personale ma collettivo…". Mussolini parlò sbrigativamente: "Ebbene, convocherò il Gran consiglio. Diranno che s'è riunito per discutere la capitolazione…".

Il 22 Luglio Mussolini ebbe un lungo colloquio con il Re, ne uscì convinto che: ”… sua Maestà mi considera il suo miglior amico…” Il Re invece disse al Generale Puntoni suo aiutante di battaglia “… ho tentato d far capire al duce che ormai soltanto la sua persona ostacola la ripresa interna e si frappone ad una definizione netta della nostra reale situazione militare. O non ha capito, o non ha voluto capire…..”(7)

A Grandi, la convocazione del Gran Consiglio, non dovette sembrare vera: poter finalmente estrarre dalla tasca quell’ordine del giorno che vi giaceva dai tempi della campagna di Grecia, ora doveva mettersi all’opera per acquisire quella maggioranza che avrebbe deposto Mussolini.
Letto rapidamente, il documento di Grandi non sembrava né una condanna né un ripudio verso il regime, addirittura Grandi, giocando le sue carte fino in fondo e con coraggio direi, lo presentò completo in bozza, come voleva la prassi, tre giorni prima, ovvero il 21 Luglio, allo stesso Mussolini che lo lesse ma non comprese, si irritò soltanto per la richiesta di cedere il comando delle Forze Armate, scrive Grandi nel suo diario:
”… ricordo le parole esatte che il duce, pacatamente, disse prima di congedarmi. "Hai finito?" mi domandò glacialmente. "Ho finito". "Ebbene sappi - replicò - alcune cose che dovrai ben fissarti in mente e sulle quali ti invito a meditare quando sarai uscito di qua:
1. La guerra è ben lungi dall'essere perduta; avvenimenti straordinari si verificheranno fra poco nel campo politico e militare, tali da capovolgere interamente le sorti della guerra. Germania e Russia si accorderanno, l'Inghilterra sarà distrutta.
2. Io non cedo i poteri a nessuno; il fascismo è forte, la nazione è con me, io sono il capo, mi hanno obbedito e mi obbediranno.
3. C'è, è vero, molto disfattismo in giro, fuori e dentro il regime, ma esso sarà curato a dovere come si merita, non appena io giudicherò che sarà venuto il momento.
4. Per tutto il resto, arrivederci dopo domani in Gran Consiglio.
Puoi andare".(8)


Ecco il testo dell’Odg che non è lungo e si apre con un preambolo sulla gravità della situazione al fronte e sull’unione morale degli Italiani:

Il Gran Consiglio del Fascismo

riunendosi in queste ore di supremo cimento, volge innanzi tutto il suo pensiero agli eroici combattenti di ogni arma che, fianco a fianco con la gente di Sicilia in cui più risplende l'univoca fede del popolo italiano, rinnovando le nobili tradizioni di strenuo valore e d'indomito spirito di sacrificio delle nostre gloriose Forze Armate, esaminata la situazione interna e internazionale e la condotta politica e militare della guerra
proclama

il dovere sacro per tutti gli italiani di difendere ad ogni costo l'unità, l'indipendenza, la libertà della Patria, i frutti dei sacrifici e degli sforzi di quattro generazioni dal Risorgimento ad oggi, la vita e l'avvenire del popolo italiano;
afferma

la necessità dell'unione morale e materiale di tutti gli italiani in questa ora grave e decisiva per i destini della Nazione;
dichiara

che a tale scopo è necessario l'immediato ripristino di tutte le funzioni statali, attribuendo alla Corona, al Gran Consiglio, al Governo, al Parlamento, alle Corporazioni i compiti e le responsabilità stabilite dalle nostre leggi statutarie e costituzionali;
invita

il Governo a pregare la Maestà del Re, verso il quale si rivolge fedele e fiducioso il cuore di tutta la Nazione, affinché Egli voglia per l'onore e la salvezza della Patria assumere con l'effettivo comando delle Forze Armate di terra, di mare, dell'aria, secondo l'articolo 5 dello Statuto del Regno, quella suprema iniziativa di decisione che le nostre istituzioni a Lui attribuiscono e che sono sempre state in tutta la nostra storia nazionale il retaggio glorioso della nostra Augusta Dinastia di Savoia.”

In neretto ho evidenziato il cuore del testo. Ripeto che il documento letto in fretta poteva sembrare innocuo, visto che la “bomba” era nei due paragrafi che lo chiudevano. Questo giocò sicuramente a favore di Grandi quando ne chiese l’approvazione “di corridoio”.

Quel sabato pomeriggio, Mussolini arrivò a Palazzo Venezia forse impreparato e sicuramente a pezzi dopo l’incontro di Feltre. Lo accompagnavano il suo segretario De Cesare e Scorza ai quali disse sottovoce: "Andiamo nella trappola!". I gerarchi arrivarono alla spicciolata prima di lui, ed apparivano tesi: chi si era confessato e comunicato poco prima (Ciano, Galbiati), chi appariva scuro e deciso a dar battaglia (Farinacci), chi nascondeva armi sotto la giubba (Federzoni, Cianetti), Grandi aveva con se due bombe a mano per ogni evenienza ed aveva fatto testamento, come Bottai.

Della riunione esistono versioni diverse, non tanto per i contenuti, quanto per la sequenza degli oratori, tutte concordano sull’orario di lettura dell’Odg di Grandi. Dopo averle esaminate ho ricostruito questa sequenza temporale:
Alle 17.00 di sabato 24 Luglio 1943, 28 gerarchi erano presenti nella sala del Pappagallo, assente il solo Muti, in difficoltà a rientrare dalla Spagna.
Alle 17 e 15 giunse, in ritardo, Mussolini, l’usciere Navarra chiuse le porte, e Scorza dichiarò aperta la seduta.
Mussolini parlò per primo e si rivolse “…ai camerati che hanno ritenuto opportuno espormi di persona il loro punto di vista sulla situazione del paese…”, (7) disse che la guerra era in fase estremamente critica, il territorio metropolitano investito pesantemente e i fatti recenti avevano ridato fiato alle opposizioni, “..i fascisti imborghesiti hanno paura di perdere i loro meschini privilegi…in questo momento io sono l’uomo più odiato d’Italia il che è perfettamente logico…. nessuna guerra è popolare, lo diventa se si vince, se si perde diventa impopolarissima…sto ancora aspettando una giornata di sole che tarda ormai ad arrivare per colpa dei generali…. Nel 1917 si perse il Veneto ma nessuno parlò di sconfitta, si pensò di portare il governo in Sicilia, io se necessario lo porterò nella valle del Po…”(7) il discorso durò due ore, sostanzialmente privo di significato.
De Bono lesse un drammatico rapporto sulla situazione militare e sullo stato delle forze armate, parlò in difesa dell’esercito, attribuendo a Mussolini gli errori fatti sulla scelta dei capi e delle strategie, sia industriali che militari.
Fu la volta di Ciano, evidentemente impaurito, che aveva una sua relazione. Iniziò a parlare con una certa difficoltà, pallido in volto, dapprima esitante poi mano mano che esponeva riacquistò sicurezza e colore, parlò duramente dei rapporti con i tedeschi, della loro doppiezza nei nostri confronti, citando date ed eventi ed elencando tutte le promesse fatte da Hitler e poi disattese: "…vollero dar fuoco alle polveri anzi tempo, contro ogni patto con noi, sicché le accuse di tradimento che essi ci rivolgono sono false; noi non siamo dei traditori, ma dei traditi…". (7)
Dapprima Mussolini si inquietò, serrando le mascelle e roteando gli occhi, poi quando Ciano terminò la sua esposizione, fece un solo commento: “Verissimo.”
Alle 21.00 Grandi lesse il suo OdG aprendo con queste parole: “Non parlo per il duce, al quale ho comunicato 48 ore or sono il mio pensiero e le mie idee, ma bensì per voi camerati del Gran Consiglio…”(7)
Non ci fu nessuna reazione evidente da parte di Mussolini, ma la discussione che ne seguì fu molto accesa e lunga, volarono fra i gerarchi parole grosse al limite dell’insulto, minacce.
Grandi si rivolse a Mussolini dicendo: "…Che cosa hai fatto nei diciassette anni in cui hai tenuto i tre ministeri militari?......II popolo italiano fu da te tradito il giorno in cui l'Italia ha cominciato a germanizzare. Ci hai condotto sulla scia di Hitler; hai abbandonato la via di una leale e sincera collaborazione con l'Inghilterra, e ci hai abbandonato ingolfati in una guerra che è contro l'onore, gli interessi e i sentimenti del popolo italiano….Credi ancora di avere la devozione del popolo italiano? La perdesti il giorno che consegnasti l'Italia alla Germania. Ti credi un soldato: lasciaci dire che l'Italia fu rovinata il giorno in cui ti mettesti i galloni di maresciallo. Togliti di dosso quella ridicola greca! Ci sono centinaia di migliaia di madri che dicono: Mussolini ha assassinato mio figlio! Voglio che questo Gran Consiglio deliberi la fine del regime di dittatura perché esso ha compromesso gli interessi vitali della Nazione!". (8)
Farinacci, paladino della Germania, lesse il suo OdG con la sua voce greve e tonante, sembrava ricalcare nella parte iniziale quello di Grandi ma molto diversa era la conclusione: “…affermo il dovere sacro per tutti gli italiani di difendere il sacro suolo della Patria, rimanendo fermi nell’osservanza delle alleanze concluse.” (7)
Mussolini alle 23 e 45 propose di aggiornare la seduta a all’indomani, Grandi e Ciano (che sembrava aver ritrovato fiducia e coraggio) si opposero vivacemente, gli ricordarono che per la Carta del Lavoro li aveva tenuti a discutere nove ore filate, “…adesso che si tratta della salvezza della Patria possiamo rimanere a discutere tutto il tempo necessario…”(7)
Alle 24, la seduta fu sospesa per 15 minuti, da mangiare c’era solo qualche panino raccogliticcio, il caldo nella sala era insopportabile, durante la pausa, Grandi raccolse 20 firme in calce al suo OdG. Quando anche Ciano si avvicinò per firmare, Grandi gli sussurrò che non c’era bisogno della sua firma, la maggioranza c’era, “…non firmare la tua condanna a morte…”, ma Ciano firmò.
Alla ripresa Grandi richiese di mettere ai voti l’approvazione del suo OdG.
La richiesta di votare un OdG per approvarlo, non era prevista nelle regole del Gran Consiglio, era Mussolini che doveva decidere se approvare o meno un OdG presentato da uno dei gerarchi, poteva invalidare tutto, ma non lo fece, anzi accettò la proposta del voto.
Prima del voto parlò, e fece una efficace difesa personale e del regime, “...chi sta chiedendo la fine della dittatura, vuole la fine del fascismo. Grandi pone in gioco l’esistenza stessa di questo regime…”(7)
Soprattutto questa frase ottenne l’effetto voluto, Grandi parò il colpo con molta abilità e freddezza, finito che ebbe Mussolini di parlare, chiese ed ottenne la parola, disse di non capire “...questo inutile ricatto sentimentale…” e dichiarò: “…noi abbiamo sempre inteso di porre la tua persona al di fuori e al di sopra di ogni discussione ed esame che abbiamo fatto…”. (7)
Inutile buttarla sul piano personale.
Era richiesto un voto sul regime, la dittatura e le sue scelte, non su Benito Mussolini.
Scorza poi lesse il suo OdG che esaltava i “…combattenti delle milizie fasciste ed i valorosi camerati germanici…” (i soldati del Regio Esercito evidentemente godevano di poca stima ndr) e proclamava l’urgenza“….di quelle innovazioni di governo e nel Comando Supremo….” che solo la guida di Mussolini poteva dare, sostituendosi definitivamente a tutto ciò che rimaneva della vecchia politica, e accentrando il potere assoluto nelle sue mani.
Ma neanche le stucchevoli adulazioni di Scorza, potevano cambiare la realtà, anche i più ottusi fra i gerarchi avevano capito che Grandi aveva sfidato il regime e Mussolini per genuino amor di Patria e stava vincendo la partita
L’anziano Suardo, presidente del Senato, alcolizzato ed anche all’inizio di quel Gran Consiglio annebbiato dall’alcool, era tra i firmatari del documento Grandi. Ebbe un attimo di lucidità, ritirò la sua firma e propose di fondere insieme i tre OdG, quello di Grandi, quello di Farinacci e quello di Scorza, prendendo da ognuno dei tre solo le parti favorevoli al regime. Se Mussolini avesse accettato la proposta il “suo” OdG avrebbe avuto facilmente la maggioranza, ma non si aggrappò al salvagente offertogli da Suardo.
Dopo un’altra ora di feroce quanto sterile discussione, i tre OdG furono votati, anzi l’unico ad essere effettivamente votato fu quello di Grandi, quelli di Scorza e Farinacci ottennero un solo voto, quello degli autori, gli altri astenuti. Ecco il dettaglio della votazione dell’OdG di Grandi:
Voti a favore:
Grandi, Federzoni, Bottai, Ciano, Acerbo, Albini, Alfieri, Baiella, Bastianini, Bignardi, Cianetti, De Bono, De Marsico, De Stefani, De Vecchi, Gottardi, Marinelli, Pareschi, Rossoni. (19)
Voti contrari:
Scorza, Buffarini, Guidi, Polverelli, Galbiati, Bigini, Frattari, Trincali. (7)
Astenuti:
Suardo, Farinacci.(2)

Alle 2 e 37 minuti di domenica 25 Luglio Mussolini disse brusco: “Sta bene. Voi avete provocato la crisi del Regime. La seduta è tolta.” E quando si avvide che Scorza stava per ordinare il saluto al duce, lo gelò guardandolo negli occhi con un ironico “Vi dispenso.”, nella sala si udì solo il fievole “A noi” di Polverelli. (7)
Solo Grandi sapeva con certezza che il Fascismo era finito, non lo aveva capito Farinacci che urlava in sala “Disfattisti e traditori”, non lo aveva capito Galbiati che rincorreva servile Mussolini per il corridoio dicendo che era una buona occasione per arrestare “i congiurati”, meno di tutti lo aveva capito Mussolini.

La notte di Grandi non era finita uscendo da Palazzo Venezia.
A piedi raggiunse Montecitorio, dove Acquarone lo aspettava passeggiando nel cortile. Fino alle cinque del mattino relazionò il Ministro della Real Casa sulla riunione, gli consegnò una copia dell’OdG con le firme, ed un elenco di nomi chiave per formare il nuovo governo: presidente il Generale Caviglia, l’industriale Alberto Pirelli agli esteri, poi Agnelli, De Gasperi, Soleri, Ciano e lui stesso. “Perchè Caviglia e non Badoglio?” gli chiese Acquarone. Grandi spiegò con pazienza che Badoglio era un antifascista che aveva tratto fortuna e denaro assecondando Mussolini, e che era responsabile quanto Mussolini della guerra perduta.
Alle 5.30 del mattino, Acquarone andò a parlare con il Re. Vittorio Emanuele III aveva già pronto un decreto firmato che nominava Badoglio capo del governo, alle 6 del mattino, Ambrosio e Castellano lo portarono a Badoglio, questi lo controfirmò.

La mattina di domenica 25 Luglio 1943, Mussolini fece la solita routine quotidiana, poi preparò la lettera di dimissioni e una lista di nomi per il nuovo governo e chiese udienza al Re per il pomeriggio alle 17, fatto di per se eccezionale visto che era domenica. Questa richiesta mise in agitazione i “congiurati” i preparativi per il “golpe” non erano pronti, il Re spinse per non rimandare, i tempi furono accelerati: c’erano poche ore.
Cerica fece appena in tempo a bloccare tutte le libere uscite e radunare il gruppo,selezionato da tempo, di 50 Carabinieri fra appuntati ed ufficiali “di indiscussa capacità e fiducia”. Con la scusa di una esercitazione e con tutti gli uomini disponibili occupò i ministeri e la Radio.
I 50 carabinieri scelti erano al comando del Tenente Colonnello Frignani. Questi scelse per eseguire materialmente l’arresto, i Capitani Raffaele Aversa e Paolo Vigneri. Furono caricati su due autocarri in pieno assetto da guerra, tranne Aversa e Vigneri che erano in borghese, nessuno degli uomini tranne i tre ufficiali, conosceva la vera natura della missione. Partirono con una autoambulanza al seguito dalla caserma di Viale Romania verso Villa Savoia, giungendo a destinazione intorno alle 15.00.
Mussolini si recò all’appuntamento, con la sua scorta personale ed il suo segretario, De Cesare. Forse, neanche si rese conto dell’eccezionale dispiegamento di Carabinieri in assetto da guerra a palazzo, la sua numerosa scorta fu senza tanti clamori bloccata, disarmata e resa innocua fuori dal cancello, il suo autista personale, trattenuto in portineria,la sua auto allontanata.
Non esiste un verbale del colloquio con il Re, durato circa venti minuti, ne esistono diverse versioni che più o meno concordano fra loro, questa è quella del Generale Puntoni, aiutante di battaglia del Sovrano, che origliava dietro la porta, pronto ad intervenire ad ogni evenienza.
“In un salotto presso l’ingresso, come accadeva in tanti altri colloqui, si chiusero, il Re, Mussolini e De Cesare.
Mussolini presentò le sue dimissioni come da prassi, disse di essere diventato l’uomo più odiato d’Italia, ebbe parole amare verso il suo popolo, e poi estrasse una lista di nomi che presentò al Re per essere autorizzato a formare il nuovo governo.
Il Re gli disse che “…il paese era a tocchi, la guerra perduta, gli Alpini cantano una canzone che dice che non vogliono più combattere per Mussolini… il voto del Gran Consiglio tremendo…vi voglio bene, voglio difendervi, ma stavolta devo affidare ad altri il governo… è stata aperta una crisi e non posso darvi fiducia di nuovo…. l’uomo della situazione deve essere un militare ed ho pensato a Badoglio…” (7)
Mussolini rispose brevemente:”Voi prendete una decisione di estrema gravità, se i soldati non vogliono più battersi per me, non ha importanza, purchè siano disposti a farlo per voi. Questa crisi sarà considerata un trionfo della coppia Churchill-Stalin.” poi aggiunse: “…allora è finita”. (7)
Chiese assicurazioni per l’incolumità della sua persona, il Re lo rassicurò, poi accompagnò entrambi i suoi ospiti fuori dal salotto, il suo disagio era tale che congedandosi, strinse la mano anche a De Cesare, fatto mai avvenuto prima. Solo allora Mussolini notò i Carabinieri in assetto da guerra e l’assenza della sua auto di fronte all’ingresso. Il Capitano Vigneri gli si fece incontro e gli disse: “Sua Maestà mi prega di proteggervi, vi prego di seguirmi.” Mussolini rispose “Che esagerazione! Ho la mia auto”. (7) Vigneri non replicò, lo afferrò per un gomito, Mussolini lo seguì senza protestare. Venne fatto salire sull’ambulanza che essendo stata quasi quattro ore sotto al sole di luglio doveva essere un forno, insieme a De Cesare, i due ufficiali e tre appuntati, armati di MAB, e trasferito prima alla caserma di Via Quintino Sella, poi a quella di Via Legnano. Intorno alla mezzanotte gli fu recapitato un biglietto di Badoglio, che gli segnalava un complotto nei suoi confronti e lo invitava ad indicare, per la sua incolumità, una località dove gradisse risiedere sotto “adeguata scorta e protezione”.
Mussolini scelse Rocca delle Caminate e rispose al biglietto ringraziando il nuovo primo ministro ed il Re “… delle cure rivolte verso la mia persona, che per ventuno anni è sempre stato un servo fedele di Sua Maestà e del Paese…”(7)
Invece fu imbarcato sulla Corvetta Persefone e trasferito a Ponza sotto la sorveglianza del questore Polito. "…Se le capita", aveva detto Badoglio a Polito prima della partenza, "una spintarella al momento propizio potrebbe risolvere tutto…". (7)
Dopo dieci giorni fu trasferito sull’isola della Maddalena in Sardegna e poi il 27 Agosto all’albergo di Campo Imperatore sul Gran Sasso.

Miope? Esausto? Non credo. A mio parere Mussolini sapeva a cosa andava incontro, conoscendo bene il testo dell’OdG di Grandi, voleva quel Gran consiglio, voleva quel voto, ed ha lasciato fare perché era sicuro che quel Re che aveva manipolato per oltre 20 anni come meglio gli poteva far comodo, lo avrebbe riconfermato in pieno nelle sue funzioni invece di togliergliele. Il “no” di Vittorio Emanuele III deve averlo gelato e sorpreso ogni oltre limite.

Alle 17.30, Acquarone telefonò a Badoglio che stava festeggiando in casa con dolcetti e champagne. Attendeva con impazienza la telefonata, ma non aveva rinunciato alla partita a bridge domenicale con gli amici. Scherzando aveva detto ai presenti, di “essere consegnato”. Si recò subito a Villa Savoia con la sua lista di ministri in tasca, che non piacque al Re: troppi politici, Einaudi, Soleri, Bergamini, Casati, il Re voleva un governo di tecnici e non di politici, quindi impose la sua lista di ministri a Badoglio. L’urgenza vera era liquidare il PNF, tranquillizzare la Germania e portare avanti una trattativa con gli alleati all’insaputa dei tedeschi. Vittorio Emanuele Orlando aveva preparato due proclami da far leggere alla radio, il Re corresse qualche rigo, Badoglio lo rimaneggiò in maniera più ampia. Venne letto per tre volte da uno speaker dell’EIAR alle 22,45 di quella domenica:

Vittorio Emanuele III
"Italiani!"
"Assumo da oggi il comando di tutte le Forze Armate, Nell'ora solenne che incombe sui destini della Patria, ognuno prenda il suo posto di dovere, di fede e di combattimento. Nessuna deviazione deve essere tollerata, nessuna recriminazione può essere consentita.
Ogni italiano si inchini dinnanzi alle gravi ferite che hanno lacerato il Sacro suolo della Patria!
Italiani!
Sono oggi più che mai indissolubilmente unito a voi dall'incrollabile fede dell'immortalità della Patria".

Badoglio
"Italiani!"
"Per ordine di S.M. il Re Imperatore assumo il governo militare del paese con pieni poteri.
La guerra continua.
L'Italia duramente colpita nelle sue province invase, nelle sue città distrutte, mantiene fede alla parola data, gelosa custode delle sue millenarie tradizioni.
Si serrino le file attorno a S.M. il Re Imperatore, immagine vivente della Patria, esempio per tutti.
"Viva l'Italia!"

Il testo del Re era poco significativo, quello di Badoglio con più senso e meno retorica.

Quella sera stessa fu formato un nuovo governo che avrebbe potuto benissimo essere il vecchio governo Mussolini, politici, qualche militare, un paio di tecnici.
Ecco i ministri del primo governo Badoglio, che fu attivo dal 25 Luglio 1943 al 17 Aprile 1944, i dicasteri sono in ordine alfabetico, alcuni di essi cambiarono titolare durante l’esercizio, il Ministero per la produzione bellica, fu soppresso il 14 Aprile 1944.
Presidente del consiglio dei Ministri : Maresciallo d’Italia, Pietro Badoglio
Sottosegretario: Pietro Barotono

Aeronautica: Generale Renato Sandalli
Affari Esteri: Raffaele Guariglia
Africa Italiana: Melchiade Gabba
Agricoltura e Foreste: Alessandro Brizzi
Commercio e Industria: Leopoldo Piccarri
Comunicazioni: Federico Amoroso
Cultura Popolare: Guido Rocco
Educazione Nazionale: Leonardo Severi
Finanze: Domenico Bartolini
Grazia e Giustizia: Gaetano Azzariti
Guerra : Generale Antonio Sorice
Interno : Umberto Ricci
Lavori Pubblici: Vito Romano
Marina: Ammiraglio Raffaele De Courten
Produzione Bellica: Generale Carlo Favagrossa

Così finisce la giornata del 25 Luglio 1943, un epilogo in sordina, privo di eroismi o di lasciti morali, l’epilogo di una congiura.

I giornali del 26 Luglio 1943 riportano:
‘Il Popolo D’Italia’ – Nell’ora solenne che incombe sui destini della patria, Badoglio è nominato Capo del Governo. Governo militare del paese con pieni poteri. La guerra continua. (1)
‘Corriere della Sera’- Le dimissioni di Mussolini. Badoglio capo del governo. Viva l’Italia! (1)
‘La Stampa’ – Badoglio a Capo del Governo. Le dimissioni di Mussolini accettate dal Re. (1
‘Daily Express’ – Mussolini resigns. Badoglio becomes Primes Minister. Calls on Nation: United behind king. The war goes on. (1) (Mussolini si dimette. Badoglio diventa primo ministro. Proclama alla nazione: Uniti con il Re. La guerra continua.)

La Germania non fu colta di sorpresa dagli avvenimenti, i tedeschi si aspettavano da tempo l’evento. Goebbels aveva informato Hitler che non riteneva possibile che gli italiani, dopo lo sbarco Americano in Sicilia, potessero continuare a combattere, e Badoglio era a capo del governo solo perchè aveva intavolato trattative segrete con gli alleati, sul diario di Goebbels in data 27 Luglio 1943 si legge: “Il Führer è fermamente convinto che Badoglio ha già negoziato con il nemico prima di compiere il passo decisivo. L'asserzione del suo proclama che la guerra continua non significa assolutamente nulla”. Fu quindi predisposto, dal nostro fedele alleato, il piano per l’occupazione militare dell’Italia ed il disarmo del nostro Esercito, piano che di li a un mese sarebbe scattato. Hitler, vedeva l’Italia come un prezioso campo di battaglia per prendere tempo e tenere gli alleati fuori dalla Germania.
Nel dettaglio i piani furono tre:
• Quercia, che prevedeva la liberazione di Mussolini
• Student, la cattura del Re e della famiglia Reale
• Asse, occupazione militare dell’Italia e disarmo di Esercito, Aeronautica e Marina.

La reazione alleata si riassume in uno stralcio di un messaggio di Roosevelt a Churchill datato 26 Luglio 1943:
“Mi fido poco, tanto del re come di Badoglio. Certamente, nessuno dei due, neanche mettendoci tutta la buona volontà, può essere considerato come il rappresentante d'un governo democratico. Riconoscerli è facilissimo ma in seguito sarà spaventosamente difficile buttarli a mare. Certamente non mi garba l'idea che questi ex nemici mutino opinione quando sanno che stanno per essere battuti e passino dalla nostra parte per ottenere d'essere aiutati a mantenere il potere politico…… la mia idea è che si debba avvicinarsi quanto più è possibile a una resa senza condizioni, seguita da un buon trattamento nei riguardi delle masse popolari italiane” (6)

I gerarchi fascisti che fine avevano fatto?
Gran parte dei “cospiratori” quella domenica pomeriggio erano a Montecitorio, nello studio di Grandi. Furono raggiunti da Muti che per puro caso aveva assistito all’arresto di Sforza e aveva saputo di quello di Mussolini. Erano nel panico, Grandi più di tutti. Quando seppe di Badoglio, tramite un biglietto fattogli recapitare dal Re, si diede per morto. Si era illuso di poter diventare il primo capo di governo italiano post-fascista, non ebbe invece nessun incarico. Muti lo nascose nella sua villetta di Fregene, poi il Re gli diede un incarico diplomatico in Portogallo (vedremo in seguito di cosa si trattava) dove volò insieme alla sua famiglia il 18 Agosto per rimanervi, si era sbarazzato di un “creditore molesto”.
L’altro “capo rivolta”, Ciano, fu assai più ingenuo. Lui, antitedesco convinto, assertore più volte della slealtà e bugiardaggine dell’alleato germanico, si presentò con la sua famiglia all’ambasciata tedesca, certo che i tedeschi avrebbero mantenuto la promessa fatta tempo addietro di aiutarlo a stabilirsi in Spagna. Invece furono fermati ed internati a Berlino, poi Ciano, fu consegnato alla RSI e fucilato dopo il processo di Verona.
Gli altri gerarchi furono “invitati” a presentarsi uno ad uno dal nuovo capo della Polizia, Carmine Senise, per firmare un umiliante documento di sottomissione al Re e al nuovo governo e di rinuncia delle loro cariche pubbliche, per essere poi lasciati liberi di andare. Gli unici che rifiutarono di presentarsi dal prefetto, furono gli irriducibili, Farinacci, Pavolini e Ricci che si rifugiarono pure loro presso l’ambasciata tedesca e poi portati clandestinamente a Berlino.

Il regime fascista crollò come un gigantesco castello di carte, fra manifestazioni di giubilo popolare la cui gioia si trasformò in immediata incertezza dopo la frase di Badoglio “...la guerra continua…”.
Il 29 Luglio 1943 veniva decretato lo scioglimento del PNF e della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, in 4 giorni si cancellavano dalla vita politica del paese 20 anni di regime, lasciando un vuoto politico che nei giorni successivi, ne la monarchia ne il governo Badoglio faranno qualcosa per riempire. Venti anni di storia era liquidati con disinvoltura, i gerarchi privi del loro punto di riferimento con un elegante giro di valzer, tolte le “cimici” dalle divise, offrivano i loro servigi a Badoglio e al Re, l’unico reale caso di coscienza che si verificò a Roma, fu il colpo di pistola che si tirò alla testa Manlio Morgagni, direttore dell’agenzia di stampa Stefani, che lasciò un biglietto: “Viva Mussolini!”

Bibliografia ,
1. AA.VV. - I Grandi Fatti (Fac-simile dei giornali citati)– Edipem (1975)
2. Galeazzo Ciano – Diario 1937-1943 – Bur (1998)
3. Denis Mack Smith – I Savoia Re d’Italia – Bur (1993)
4. Cervi-Montanelli – L’Italia del Novecento – Bur – (1995)
5. Arrigo Petacco – Fucilate quel Fascista, vita spericolata di Ettore Muti – Mondadori (1990)
6. R. S. Sherwood - La seconda guerra mondiale nei documenti segreti della Casa Bianca - Garzanti (1980)
7. Antonio Spinosa – Mussolini, il fascino di un dittatore - Mondadori (1990)
8. Dino Grandi. - Il mio paese. Ricordi autobiografici a cura di Renzo De Felice.- Il Mulino (1985)
9. Domenico Quirico – Generali – Mondatori (2006)
10. Castellano G. – Come firmai l’armistizio di Cassibile – Mondadori (1945)

 

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